PMI italiane, 1 su 4 vittima di cybercrime

Tra le paure che devono affrontare le piccole e medie imprese c’è quella degli attacchi informatici. Ed è un pericolo concreto, dato che circa il 25% delle PMI italiane ha subìto una simile aggressione. Per la precisione, un’azienda su quattro è oggi interessata da problemi di sicurezza informatica.  A tal punto che aumenta la percentuale di aziende che, allarmate dalla situazione, hanno deciso di investire risorse per mettere al sicuro i propri dati. Secondo un’indagine condotta da SWG per Confesercenti sulla sicurezza delle PMI tra 10 e 50 dipendenti, si rileva che nel 2023 il 52% delle PMI investirà in sicurezza, con un impegno economico complessivo di circa 470 milioni di euro. 

La criminalità informatica è attiva anche nelle attività economiche 

La sicurezza delle informazioni è un problema che colpisce sempre di più le attività economiche. La progressiva digitalizzazione del settore terziario ha infatti portato la quasi totalità delle imprese interpellate – il 97% per l’esattezza – ad adottare uno o più sistemi informatici. Sul campione delle PMI coinvolte nella ricerca, il 90% dispone di un sistema di posta elettronica gestito internamente, il 73% ha un sito web, mentre il 61% utilizza un software o una piattaforma di gestione interna. Un altro 35% fornisce ai propri clienti una rete wi-fi, mentre il 28% gestisce un portale per il commercio elettronico. La salvaguardia dei dati e delle informazioni sensibili è un fattore critico, viste le recenti indicazioni in merito all’acquisizione, alla gestione, all’uso e all’archiviazione dei dati stessi. Per questo motivo, il 49% delle PMI ritiene di doversi impegnare di più nel settore della sicurezza dei propri dati e del proprio business, mentre una quota leggermente superiore prevede di allocare risorse a questo scopo nel corso del 2023, con una spesa media di 4.800 per azienda, per un totale di oltre 470 milioni. Eppure soltanto il 50% ha già individuato un fornitore di servizi su cui fare affidamento. 

Nel prossimo triennio investimenti importanti in cybersecurity

“Il quadro che emerge dal sondaggio, condotto sulle imprese con dieci o più dipendenti e quindi, almeno sulla carta, più strutturate e di conseguenza più motivate a garantirsi un sistema di procedure e protezione dati adeguato, ci offre infatti una duplice lettura. Da una parte un quarto delle attività intervistate ammette di avere già avuto problemi, dall’altro, solo una su due ha deciso di investire per migliorare le proprie difese” dichiara Nico Gronchi, Vicepresidente vicario di Confesercenti. “Certo, le imprese a cui è stato somministrato il sondaggio rappresentano solo il 5% del totale delle attività economiche, e non sono certamente le uniche che vogliono investire nella sicurezza dei propri sistemi. È anzi presumibile che già quest’anno almeno il 10% delle rimanenti imprese – oltre 420mila attività – investirà in cybersecurity. Prendendo come riferimento il triennio 2023-2025, possiamo stimare che le imprese nel loro complesso saranno ‘costrette’ a sostenere spese per la sicurezza informatica per circa 10 miliardi”.

Ragazzi e genitori nel mondo digitale, cosa può far paura?

Nonostante l’utilizzo quotidiano dei device, non sempre i giovani utenti sono totalmente consapevoli di come evitare i pericoli, controllarli o segnalarli. Per avere uno spaccato delle percezioni dei giovani tra i 12 e i 18 anni e dei loro genitori, sul rapporto con il mondo digitale, arriva una nuova ricerca. “Tra realtà e Metaverso. Adolescenti e genitori nel mondo digitale” è stata realizzata da BVA DoxaKids, per Telefono Azzurro e presentata all’Università Cattolica del Sacro Cuore in occasione del Safer Internet Day.

Preoccupazioni in aumento

In generale il report registra un aumento delle preoccupazioni, condivise da genitori e adolescenti, circa gli effetti negativi che possono scaturire da un’esposizione eccessiva agli schermi digitali dei giovanissimi. E nonostante l’utilizzo quotidiano dei devices, non sempre i giovani utenti sono totalmente consapevoli di come evitare i pericoli, controllarli o segnalarli.

Cosa spaventa di più

Il 65% dei ragazzi intervistati teme di essere contattato da estranei adulti (percentuale che si alza al 70% se si prendono in esame solamente le ragazze e i più piccoli, dai 12 ai 14 anni). Seguono il bullismo (57%), oversharing di dati personali (54%), la visione di contenuti violenti (53%) o sessualmente espliciti (45%), l’invio di contenuti di cui ci si potrebbe pentire (36%), le spese eccessive (19%), il gioco d’azzardo (14%). A quasi 1 ragazzo su 2 (48%, 53% nel caso di ragazzi 15-18 anni) è capitato di incappare in contenuti poco appropriati e nel 25% i contenuti apparsi li hanno turbati e impressionati. Nel 68% dei casi i contenuti più diffusi sono quelli violenti, seguiti immediatamente da quelli pornografici (59%) e sessualmente espliciti (59%), dai contenuti discriminatori e razzisti (48%), da quelli riguardanti il suicidio e l’autolesionismo (40%) o inneggianti l’anoressia e la bulimia (30%), ma anche il gioco d’azzardo (27%).

Ansia da social?

I contenuti fruiti sui social potrebbero suscitare sentimenti negativi. Più di 1 ra- gazzo su 2 (53%) riferisce di aver provato sentimenti spiacevoli, come l’invidia per la vita degli altri (24%, soprattutto i 15- 18enni). Il 21% afferma che è capitato di sentirsi inadeguato, il 18% diverso, il 10% omologato. La restante parte prova solitudine (12%) o rabbia per le vite degli altri (9%).

I genitori sono un punto di riferimento

I genitori risultano essere un punto di riferimento per i figli, nel caso di eventi spiacevoli accaduti online. Il 19% riporta di aver accolto le confidenze dei propri figli in passato, mentre il 49% ritiene che i propri figli ne parlerebbero in famiglia, anche se per il momento non sono ancora avvenuti episodi di questo tipo.

Intolleranza sui social, è allarme rosso: cresce l’odio verso donne, gay, disabili

Il linguaggio dell’odio è ormai una costante sui social media. E nel 2022, anno contrassegnato da instabilità e conflitti, le tensioni a livello sociale e politico non hanno fatto altro che acuirne la portata. Lo rivela la VII edizione della Mappa dell’Intolleranza 7.0 voluta da Vox Osservatorio Italiano sui Diritti, che fotografa il linguaggio via social. Al suo settimo anno di rilevazione, la mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa, diretta verso 6 gruppi: donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani. Si tenta di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono e per l’interattività che garantiscono.

Maggiore radicalizzazione dei discorsi d’odio 

L’analisi 2022, condotta fra il mese di gennaio e quello di ottobre, evidenzia una maggiore radicalizzazione dei discorsi d’odio. Fenomeno, questo, già registrato nella rilevazione dello scorso anno, ma quest’anno decisamente esploso. Ad oggi stiamo dunque assistendo a una verticalizzazione del fenomeno di odio online, per il quale la diffusività iniziale ha lasciato il posto a un modello di dinamiche sociali sempre più incisive e polarizzate. A un allargamento delle possibilità di scelta delle piattaforme social, corrisponde una selettività maggiore di messaggi di esclusione, intolleranza e discriminazione. In relazione a questi aspetti, risulta utile sottolineare il ruolo giocato dai mass media tradizionali nell’orientare e influenzare questa tipologia di comunicazione e narrativa. A questo proposito, si ritiene utile e necessaria una riflessione futura di più ampio respiro sulla consapevolezza di questo ruolo e delle sue implicazioni sociali.

Le categorie più colpite

Quali sono dunque le categorie più prese di mira? Le donne, le persone con disabilità, le persone omosessuali. Appare dunque evidente che una delle connotazioni dell’odio online rilevate dall’ultima Mappa è una forte concentrazione sui diritti della persona, sia essa donna, gay o disabile. A tal proposito, emerge sempre di più la necessità di educare all’uso dei social network e di ripensare le relazioni fra mass media, piattaforme e utenti, al fine di prevenire forme sempre più radicali di odio, che possono superare i confini della dimensione online. Tentando un confronto con l’anno precedente, nella rilevazione del 2021 (gennaio-ottobre) erano stati raccolti un totale di 797.326 tweet dei quali 550.277 negativi (il 69% circa vs. 31% positivi). Nella rilevazione del 2022 invece (periodo gennaio-ottobre), sono stati raccolti 629.151 tweet dei quali 583.067 negativi (il 93% circa vs. 7% positivi). Come già si evidenziava, sono stati rilevati meno tweet semanticamente centrati, ma il segno negativo è forte e predominante sul totale, segno evidente di una radicalizzazione del fenomeno. I cluster più colpiti: nel 2022 al primo posto svettano le donne (43,21%), seguite da persone con disabilità (33,95%), persone omosessuali (8,78%), migranti (7,33%), ebrei (6,58%) e islamici (0,15%). A fronte di un 2021, che vedeva una diversa distribuzione: donne (43,70%,), seguite da islamici (19,57%), persone con disabilità (16,43%), ebrei (7,60%), persone omosessuali (7,09%) e migranti (5,61%).

Consumi green: gli italiani e le abitudini sostenibili 

A quanto emerge dalla ricerca ‘Agos Insights. I nuovi consumi sostenibili’, realizzata da Agos in collaborazione con Eumetra, l’attenzione alla sostenibilità è un tema sentito da circa il 90% degli italiani, ma non sempre risulta attuabile nel quotidiano. Insomma, se gli italiani sono sempre più attenti alla sostenibilità spesso è difficile metterla in pratica con azioni concrete. Un freno è rappresentato dal fatto che comportarsi in modo autenticamente sostenibile ha spesso un costo significativo. La transizione energetica, ad esempio, è più facile all’interno delle proprie abitazioni, perché, in questo caso, la sostenibilità è collegata a una riduzione delle spese. Il 71% ha infatti modificato i propri comportamenti in casa e il 69% ha adattato le proprie abitudini ai fini di un maggior risparmio energetico. 

Classe energetica, questa sconosciuta

Gli italiani sembrano infatti essere molto interessati alle potenzialità di un miglioramento della classe energetica di casa (90%) e degli elettrodomestici (94%). Eppure, se la maggioranza conosce la classificazione energetica con le lettere dalla A alla G (84%), non sono altrettanti quelli che si rendono conto dell’impatto dell’utilizzo degli elettrodomestici in bolletta (solo il 38% ne è consapevole) o sono a conoscenza della classe energetica del proprio immobile (51%). Proprio per questo emerge una forte richiesta di consulenza da parte di aziende e rivenditori (82%), che dovrebbero aiutare a districarsi nel dedalo delle differenze e far capire meglio i vantaggi di una soluzione green.

Mobilità e acquisti: difficile modificare i comportamenti

Se l’impegno a modificare le abitudini di comportamento e consumo in casa è diffuso, sembra più difficile modificarle sul versante della mobilità: solo il 15% ha individuato soluzioni più green per spostarsi, e il 31% nell’ambito degli acquisti. Le generazioni più in difficoltà sono quelle di mezzo (da 30 a 50 anni), alle prese con spese per la casa e i figli e stipendi che non sempre consentono di seguire i comportamenti più virtuosi. Apparentemente contradditoria sembra la GenerazioneZ che a parole non dà particolare importanza al tema, ma che risulta essere la più attiva nel cercare di comportarsi in modo rispettoso.

Idealisti, concreti, impossibilitati o indolenti?

L’economia circolare emerge come modo per essere sostenibili, apprezzata dal 78% degli italiani e utilizzata quasi dalla stessa percentuale (77%). In particolare dai più giovani, che la considerano una modalità di acquisto al pari delle altre. L’analisi ha poi delineato 4 grandi tipologie di italiani con diversi atteggiamenti verso la sostenibilità, in base soprattutto al grado di attenzione e importanza attribuita al tema. Si va dagli Idealisti (31%) ai Concreti (32%), e dagli Impossibilitati (21%) agli Indolenti (16%). Questi ultimi ritengono importante il tema della sostenibilità, ma hanno poca voglia di impegnarsi in prima persona. Sono infatti disponibili a spendere di più e utilizzare le proprie risorse per iniziative a favore della sostenibilità, ma non a cambiare i propri comportamenti.

A gennaio previste 504mila assunzioni, ma i lavoratori non si trovano 

A delineare lo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal. Nel primo mese dell’anno in totale sono 504mila i lavoratori ricercati dalle imprese, e 1,3 milioni di assunzioni sono previste per il primo trimestre 2023, 149mila in più e in crescita del 12,9% rispetto l’intero trimestre 2022. La domanda di lavoro prevista a gennaio 2023 si colloca sopra i livelli pre-Covid, segnando un +10,1%, pari a 46mila assunzioni, rispetto a gennaio 2022 e +14,0% (+62mila) rispetto a gennaio 2019. Allo stesso tempo cresce anche il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, che passa dal 38,6% del 2022 al 45,6% del 2023 (circa 230mila assunzioni).

Mancano dirigenti, operai specializzati, tecnici  

La mancanza di candidati è la motivazione maggiormente indicata dalle imprese (27,8%), seguita dalla preparazione inadeguata (13,5%) e da altri motivi (4,3%). Dal Borsino delle professioni sono più difficili da reperire dirigenti (66,1%), operai specializzati (61,9%), tecnici (51,6%), conduttori di impianti (49,0%), professioni con elevata specializzazione (47,5%), e nelle attività commerciali e nei servizi (41,0%). Supera poi i 4 mesi (4,3) il tempo medio di ricerca necessario per ricoprire le vacancies valutate dalle imprese di difficile reperimento. Le assunzioni programmate rivolte preferenzialmente ai giovani sotto i 30 anni registrano una difficoltà media di reperimento del 48%. Per il 18,1% delle assunzioni (oltre 91mila) le imprese pensano di rivolgersi a lavoratori immigrati, soprattutto nei settori della logistica, dei servizi operativi e nella metallurgia.

La domanda di lavoro per settore

A guidare la domanda di lavoro è il manifatturiero, con un incremento su base annua del 17,8% (+19mila assunzioni), seguito da turismo (+10mila, +21,0%), servizi operativi di supporto a imprese e persone (+7mila, +17,7%) e servizi alle persone (+7mila, +12,9%). L’industria ha invece in programma 174mila assunzioni. In particolare, sono alla ricerca di personale le imprese delle costruzioni (51mila), seguite dalle imprese della meccatronica (34mila), metallurgiche e dei prodotti in metallo (27mila). I servizi prevedono di assumere 330mila lavoratori: 64mila i servizi alle persone, 60mila il commercio e 58mila il turismo.

Contratto a tempo determinato il più proposto

Il contratto a tempo determinato è la forma di assunzione maggiormente proposta (208mila unità), pari al 41,3% del totale. Seguono i contratti a tempo indeterminato (122mila, 24,3%), quelli in somministrazione (74mila, 14,7%) e gli altri contratti non alle dipendenze (44mila, 8,8%). L’apprendistato viene proposto per 25mila assunzioni (5,0%), mentre i contratti di collaborazione e le altre tipologie di contratti vengono indicati rispettivamente per 19mila assunzioni (3,7%) e 10mila assunzioni (2,1%). A livello territoriale, sono le macro-ripartizioni del Nord-Ovest e del Nord-Est a segnalare le previsioni di assunzione più elevate (rispettivamente, oltre 171mila e circa 123mila), seguite dalle regioni del Sud (oltre 109mila) e del Centro (circa 101mila). La graduatoria regionale delle assunzioni vede, nell’ordine, Lombardia (121mila), Veneto (51mila), Lazio (50mila), Emilia-Romagna (49mila), Piemonte (37mila) e Campania (32mila).

Car sharing nel post-covid: una lenta ripresa  

Secondo l’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, nonostante sia ancora lontano dai livelli del 2019 nel 2021 il car sharing è in leggera ripresa rispetto al 2020. Se il car sharing sia free-floating sia station-based risultano in difficoltà i numeri fanno comunque intuire un cambiamento nella modalità d’uso. Di fatto, il numero di noleggi in modalità free-floanting (privo di stalli di ritiro e riconsegna), ad esempio, è inferiore del 52% rispetto al 2019, ma dell’8,6% rispetto al 2020. Ma se a questo dato si affiancano quello dei chilometri percorsi e quello della durata media per noleggio, i primi risultano aumentati dell’8,8% rispetto al 2020 e la percorrenza media del 33,7% (da 7,4 km a 9,9 km). La durata media per noleggio, invece, è aumentata del 34% rispetto al 2019, passando da 32,6 a 43,7 minuti.

Rispondere a esigenze diverse rispetto a quelle del passato

I due dati portano a dedurre che il car sharing sta cambiando pelle per rispondere a esigenze diverse rispetto a quelle del passato. Non è un caso, infatti, che anche la tipologia dei veicoli si orienti vero auto a quattro porte e con la possibilità di assolvere a più funzioni. Se poi si comparano i dati relativi al car sharing con quelli della forte ascesa della micromobilità, è probabile che in passato il car sharing assolvesse a funzioni che non gli erano proprie, e che ora sono ben soddisfatte da mezzi come il monopattino e la bici, ritenuti dagli utenti più adatti alle proprie esigenze.

Free-floating: diminuiscono flotta e noleggi

Il tasso di rotazione del free-floating in Italia mostra un dato medio del 2,9, con un interessante picco a Torino, che potrebbe far presuppore la possibilità di ingresso per nuovi operatori.
Di pari passo con la contrazione dei noleggi (8%) anche la flotta di veicoli destinati al car sharing free-floating è diminuita del 10%, tornando a valori inferiori a quelli del 2016. Va ricordato che la diminuzione della flotta non dipende solo da un minor numero di noleggi, ma anche dalla difficoltà per alcuni operatori di approvvigionamento auto in fase di rinnovo della flotta. Una nota positiva riguarda le immatricolazioni dei veicoli elettrici, ripartiti con un gande sprint: +200% rispetto al 2020.

Station-based: meno noleggi ma più chilometri percorsi

Il numero di noleggi del car sharing station-based (ritiro e riconsegna in appositi stalli), è a -19% rispetto al 2019, ma in ripresa del 22,2% rispetto al 2020. 
Si tratta di volumi inferiori rispetto al free-floating, di cui lo station-based sta diventando un servizio complementare.
I chilometri percorsi sono aumentati del 13,6% rispetto al 2020, la percorrenza media è diminuita del 7,3% (da 25,8 km a 23,9 km), e la durata media per noleggio è diminuita del 10% rispetto al 2020.
Le immatricolazioni sono -5% rispetto al 2020, invertendo per la prima volta la tendenza alla crescita ininterrotta dal 2015. Le immatricolazioni dei veicoli elettrici, invece, sono a +17%, toccando il record del 45% del totale dei veicoli presenti nelle flotte station-based.

Pmi del settore Food: perchè vincere la sfida della digitalizzazione?

Spinte dalla necessità di continuare a svolgere i processi aziendali durante la crisi sanitaria causata dalla pandemia, il 28,7% delle Pmi italiane che operano nel settore food ha attuato processi di digitalizzazione delle pratiche aziendali. Per il 49,2% delle imprese le sfide maggiori del prossimo futuro riguardano la diminuzione della domanda causata dall’inflazione, e i costi dell’energia e delle materie prime della food chain. Per il 35,6% riguardano invece gli ostacoli burocratici posti al settore.
Secondo un’indagine condotta da Glovo, tra gli elementi sfidanti vengono riconosciute alcune questioni attinenti la carenza di personale competente (27,7%), la difficoltà nel raggiungere nuovi clienti (18,8%) e la differenziazione dei prodotti per ottenere quote maggiori di mercato (18,5%).

La chiave del successo

Tra i fattori riconosciuti fondamentali per mantenere una competitività elevata il più importante è il capitale umano. Per il 73,6% delle aziende la chiave del successo è una forza lavoro adeguata, e per il 48,5% dev’essere più diversificata possibile. È importante anche una migliore capacità di comprendere il mercato (56,8%), così come comprendere le esigenze della clientela (62,7%). Per quanto riguarda le prospettive a medio-lungo termine, le aziende della food chain individuano tra gli elementi imprescindibili per la crescita, il lavoro agile (32%), l’aumento degli investimenti (31,7%), diversificazione di prodotti e servizi (31%), e capacità di rispondere in maniera adeguata all’aumento della domanda (27,7%). Ma il 23,8% delle aziende non ritiene che attualmente esistano margini di crescita per la propria attività.

Innovare è davvero utile?

Per preparare l’azienda alle sfide del futuro gli imprenditori ritengono importante incrementare l’ascolto e il coinvolgimento della clientela (46,9%), ma anche diventare più resilienti alle crisi (32,3%). Solo il 20,5% ritiene di dover digitalizzare di più l’azienda, ottimizzando i metodi di consegna (15,2%) o innovando maggiormente i servizi (8,9%), ma per il 25,4% non c’è nulla da fare per potersi preparare alle sfide del futuro. Quanto alla competizione con le grandi catene che operano nel settore alimentare le imprese riconoscono nei prezzi l’ostacolo più grande (50,5%), seguito dall’accesso alle risorse (31,4%) e la maggiore diffusione sul territorio (22,8%). Non vengono ritenuti particolarmente sfidanti gli elementi tipici delle grandi organizzazioni, come agilità (16,5%) e maggiore capacità logistica (7,9%).

Come accontentare i consumatori?

Per quanto riguarda l’analisi dei desideri dei consumatori, il 60,1% delle Pmi considera la varietà di scelta e la possibilità di personalizzazione le esigenze più importanti avvertite dai clienti. Al secondo posto le imprese riconoscono ai consumatori un’accresciuta sensibilità nei confronti della sostenibilità ambientale, per questo, il 51,5% delle aziende della food chain aumenterà la domanda di prodotti sostenibili. Per far fronte alle esigenze dei clienti le aziende ritengono necessario investire anche nella diversificazione dei prodotti (34,3%). Ma solo il 25,1% ritiene che la sostenibilità sia una leva strategica per affrontare le sfide attuali.

I dati di Threat Intelligence? I manager li cercano sui social

La metà (52,5%) di tutti i dirigenti aziendali italiani si affida a notizie, blog di settore e social media per ottenere informazioni sulle minacce e sui problemi di sicurezza informatica più urgenti all’interno delle grandi aziende. A dirlo è una recente indagine di Kaspersky, che ha evidenziato quanto i dirigenti del nostro Paese siano preoccupati di fronte alle ultime minacce informatiche provenienti dal dark web. Ma è efficace questa strategia? Mette al riparo dai pericoli del dark web?

Cos’è il dark web

In alcuni posti del modo, dove la rete e i motori di ricerca sono proibiti o inaccessibili ai cittadini, il dark web rappresenta un accesso inestimabile alle informazioni e una protezione dalle persecuzioni. Più spesso, però, queste reti estremamente sofisticate e complesse sono utilizzate per attività dannose, che offrono ai criminali un ambiente ideale per svilupparsi, lontano dagli occhi indiscreti delle autorità. La mancanza di indicizzazione standard delle pagine web rende i dark web non ricercabili dagli strumenti di ricerca più diffusi e richiede alti livelli di competenza per poter decifrare e decodificare le attività criminali in corso in varie lingue. Tuttavia, se da un lato le informazioni disponibili pubblicamente forniscono un servizio essenziale per tenersi aggiornati sulle questioni più recenti, dall’altro la dipendenza dal consumo di informazioni sulle notizie di tendenza e più “popolari” potrebbe limitare la CSuite dallo sviluppo di una comprensione complessiva della vera natura delle minacce per la loro azienda e di come agire contro di esse. 

Sono ancora pochi i casi che si affidano a esperti esterni

Per una migliore comprensione, solo il 41% dei C-level intervistati in Italia ha dichiarato di utilizzare attualmente esperti esterni per raccogliere informazioni sulle ultime minacce sofisticate che emergono dal dark web. Per quanto riguarda i vari Paesi, il 50% dei dirigenti di livello C intervistati in Spagna hanno dichiarato che è più probabile che utilizzino esperti esterni per raccogliere informazioni che possono essere discusse durante le riunioni del consiglio di amministrazione, mentre i dirigenti di livello C intervistati nel Regno Unito sono stati i meno propensi ad affermare lo stesso (solo il 34%).
“La nostra ricerca delinea il quadro di una C-Suite che ha bisogno di aiuto per comprendere le minacce alla sicurezza aziendale che si presentano ogni giorno. Il consumo di risorse disponibili pubblicamente e l’aumento del budget destinato alla formazione sono molto importanti per contribuire a sviluppare la consapevolezza, ma il panorama delle minacce è complesso e in continua evoluzione e comprende alcuni dei criminali più motivati e tecnologicamente sofisticati del pianeta. La realtà è che senza un approccio stratificato alla cybersicurezza che combini le risorse di notizie disponibili pubblicamente e la consapevolezza dei social media, con un’intelligence azionabile interpretata dal dark web da esperti, le aziende si difendono solo a metà contro le minacce”, ha spiegato David Emm, Senior Security Researcher, di Kaspersky.

Natale 2022: gli acquisti digitali quest’anno si fanno in anticipo 

Complice l’inflazione in aumento e la scarsità di forniture il comportamento dei consumatori relativamente agli acquisti natalizi è cambiato rispetto allo scorso anno. Emerge infatti come gli acquirenti ora siano più preparati al risparmio dopo i difficili avvenimenti di questi ultimi anni. Il 2022 sta volgendo al termine, e per le prossime festività natalizie non ci saranno acquisti dell’ultimo minuto, ma un’anticipazione già a inizio novembre nelle ricerche dei regali da porre sotto l’albero. Si stima infatti che durante il Black Friday e il Cyber Monday il 78% dei consumatori spenderà la metà del proprio budget per i regali di Natale, per un volume totale di vendite online stimate in aumento del 72% tra lunedì 19 novembre e il 25 novembre. Emerge da uno studio di Calicantus, che ha fatto il punto sui comportamenti di acquisto più rilevanti in vista del Natale.

Pianificare i regali settimane prima di comprarli

“Le persone preparano il terreno alla corsa ai regali tramite il digitale, che permette di pianificare gli acquisti dei prodotti con settimane di anticipo”, afferma Valentino Bergamo, ceo di Calicantus. È un vantaggio temporale che si estende anche nella sinergia tra i canali di acquisto, ovvero, tra il negozio fisico, il marketplace digitale e lo shop online. Infatti è l’omnicanalità il secondo tema di grande interesse, che ha preso piede dopo che la pandemia aveva fortemente limitato l’esperienza di acquisto nei punti vendita fisici da parte degli utenti. La ripresa dell’operatività dei negozi quest’anno richiama un numero maggiore di visitatori, rendendo quindi indispensabile l’integrazione di negozi digitali e fisici. 

Sinergia tra canale online e offline

Secondo una ricerca di Adyen e KPMG, il 63% degli italiani preferisce acquistare presso retailer che utilizzano la tecnologia per migliorare l’esperienza di acquisto sinergicamente online e offline. Di fatto, il retail fisico influenza oggi gli ordini via web, e la fusione tra store digitale e tradizionale aumenterà progressivamente il valore di ciascun canale.
Inoltre, anche la sostenibilità entra nel podio delle tematiche di grande importanza per questo Natale 2022: “grazie all’esperienza digitale, i consumatori giungeranno in negozio in maniera mirata, evitando così sprechi di tempo e di carburante”, ribadisce Bergamo.

Rispetto per l’ambiente senza rinunciare alla qualità

Secondo Salesforce la fiducia nelle aziende che pongono attenzione al rispetto per l’ambiente nelle fasi di produzione richiamerà l’attenzione dell’83% dei consumatori di tutto il mondo, mentre il 64% si allontanerà dai marchi che non rispecchiano i valori condivisi dalla popolazione. Principi etici e ricerca del valore sembrano dunque guidare i consumatori nello shopping per le prossime festività. Ma secondo un’altra ricerca di Google, il 75% degli acquirenti non è disposto a rinunciare alla qualità, nonostante le grandi sfide economiche e sociali dei nostri tempi.

Credito: le richieste delle imprese calano del -4,6%

Rispetto al terzo trimestre del 2021 nell’analogo periodo di quest’anno il numero di richieste di credito presentate dalle imprese italiane segna un calo del -4,6. Di contro, l’importo medio richiesto risulta in decisa crescita. La flessione riguarda soprattutto le imprese individuali, mentre le richieste da parte dalle società di capitali restano sostanzialmente stabili. Inoltre, quasi la metà delle richieste è stata presentata da imprese attive nei settori dei servizi e del commercio. Lo segnala l’ultimo Barometro CRIF, che analizza le istruttorie di finanziamento registrate in EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF.

Cresce l’importo medio richiesto: 123.691 euro

La dinamica in atto riguarda principalmente le imprese individuali, che nel periodo preso in esame segnano un -11,9% di richieste presentate, mentre quelle provenienti dalle società di capitali si mantengono sostanzialmente stabili al -0,8%. Al contempo si riscontra una decisa crescita dell’importo medio richiesto, (+18,45%), che si attesta a 123.691 euro. Per quanto riguarda le imprese individuali, che rappresentano la spina dorsale del tessuto economico e produttivo nazionale, l’importo medio dei finanziamenti richiesti è risultato pari a 36.374 euro (-2,6% rispetto al corrispondente periodo 2021) contro i 163.891 euro delle società di capitali (+17,7%).

L’andamento dei settori 

Tra i settori caratterizzati da volumi di richieste di credito particolarmente elevati, al vertice si collocano i Servizi, quasi un quarto del totale (23,7%) malgrado una leggera flessione rispetto al III trimestre 2021 (-1,4%). Al secondo posto il Commercio (23,0%), a conferma di quanto l’erosione dei margini stia accentuando il bisogno di liquidità. Al terzo posto Costruzioni e Infrastrutture (17,9%), con un‘incidenza sul totale richieste in sensibile aumento rispetto al 2021 (+1,7 %). Questa dinamica riflette le prospettive creditizie previste in peggioramento, e l’esigenza di nuova finanza anche a causa del progressivo venir meno delle misure straordinarie che avevano sostenuto il comparto nel 2021.

Difficoltà di approvvigionamento e impennata dei costi dell’energia 

Il settore manifatturiero (10,9%) sta affrontando le criticità derivanti dalla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e l’impennata dei costi dell’energia. Infatti, le imprese di questo settore dovranno iniziare a valutare piani di investimento per far fronte alla necessaria transizione ecologica e diminuire la dipendenza dai combustibili fossili. Nel complesso, i settori che presentano una minore incidenza sul totale delle richieste sono quelli caratterizzati da una ridotta numerosità di imprese attive sul territorio nazionale, e nel caso di quello farmaceutico, dalla capacità di generare cash flow per loro stessa natura gestendo beni di prima necessità.