Made in Italy: un export di qualità sempre più apprezzato

‘Quale valore del brand Made in Italy nel mondo’ è il titolo della ricerca realizzata da Unioncamere in collaborazione con Assocamerestero e la rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE), presentata durante il convegno ‘Italia: un valore nel mondo’.

Durante l’incontro, che ha visto confrontarsi personalità del mondo politico, istituzionale ed economico sulle caratteristiche che rendono unico il nostro Paese all’estero, è emerso chiaramente come le caratteristiche dei prodotti Made in Italy più apprezzate dai consumatori esteri siano l’elevata pregevolezza dei materiali, l’iconicità e il design di altissima qualità. 

Un marchio iconico sinonimo di pregio (e un mercato da miliardi di euro)

La ricerca ha evidenziato come le sole imprese operanti nei settori trainanti del Made in Italy (abbigliamento, automotive, alimentare e arredamento), occupano 2,1 milioni di lavoratori, generano 454 miliardi di euro di fatturato, 105,5 miliardi di valore aggiunto e 193,4 miliardi di export sul totale di 420 miliardi di tutti i settori legati al Made in Italy.

Di questi ultimi, oltre un terzo si stima siano legati all’iconicità del marchio ‘Made in Italy’, ovvero quell’insieme di caratteristiche che i consumatori associano a un prodotto italiano: qualità, design e pregevolezza dei materiali.

Dal design all’agroalimentare l’imprenditorialità tricolore fa cultura

“Il Made in Italy è un brand trasversale che accomuna tutte le nostre imprese: è il biglietto da visita dell’Italia all’estero – ha commentato Andrea Prete, Presidente di Unioncamere -. Racchiude una cultura imprenditoriale che simboleggia l’eccellenza nei campi più svariati, dall’arredamento al design, dalla moda all’agroalimentare. Raccontare il Made in Italy, oggi, significa raccontare la storia delle persone che alimentano il nostro tessuto imprenditoriale giorno dopo giorno, la storia di due milioni di lavoratori, ed è anche per questo che il brand Made in Italy va sempre più tutelato, promosso e valorizzato”. 

Sostenere le filiere chiave e promuovere i territori

“Le Camere italiane all’estero rappresentano un valore per l’Italia: grazie al ruolo che occupano nelle comunità d’affari dei Paesi in cui vivono e operano sono sempre più ‘rete di reti’, non solo di business, ma anche istituzionali – ha aggiunto Mario Pozza, Presidente di Assocamerestero -. Il cuore della nostra attività resta il sostegno all’export delle filiere chiave del Made in Italy, dall’alimentare alla meccanica, e la promozione dei territori, in termini sia di produzioni tipiche sia di attrattività turistica. Ma ora lo stiamo facendo in maniera diversa dal passato, integrando servizi e fonti di finanziamento, digitalizzando le modalità di erogazione, orientando le imprese a incorporare la sostenibilità ambientale e sociale tra le loro leve di competitività”.

Lavoro: dopo la Great Resignation è il momento della grande tristezza

In questi ultimi anni sta esplodendo un altro fenomeno che riguarda il mondo del lavoro: dopo la Great Resignation arriva la Great Gloom, la grande tristezza dei lavoratori. Secondo i dati di un’indagine di BambooHR, dal 2020 il termometro che misura la felicità dei dipendenti è sceso a un tasso costante del 6%, con aumento al 9% nell’ultimo anno.

Con il morale dei dipendenti che peggiora di anno in anno, le aziende hanno un ruolo sempre più importante. Quello di innescare il cambiamento e arrestare questa tendenza che secondo la società di consulenza statunitense Gallup sta costando all’economia globale una cifra vicina al 9% del Pil, pari a 8,8 trilioni di dollari.

Investire nella felicità dei dipendenti genera ritorni tangibili

Favorire un clima aziendale positivo, stimolando l’engagement e il benessere dei dipendenti può infatti avere un impatto sulla produttività, rappresentando uno dei driver principali di crescita e sviluppo dell’azienda.

“Gli investimenti nella felicità dei dipendenti possono generare ritorni tangibili e misurabili – afferma Stefano Brigli Bongi, co-founder & cmo di Kampaay -. Se pensiamo che trascorriamo la maggior parte della nostra giornata al lavoro è naturale come sia importante creare un ambiente sereno e positivo, che possa favorire il benessere dei dipendenti, cruciale per aumentarne la produttività ma anche per consentire loro di realizzarsi pienamente come persone. Aspetti che sono sempre più sentiti soprattutto dai Millenial e dalla GenZ che hanno attribuito un nuovo significato al lavoro felice”.

Alti livelli di stress e insoddisfazione

Di fatto, secondo Gallup, nel 2023 l’insoddisfazione e lo stress nel lavoro ha raggiunto picchi storici del 44%. In Italia addirittura il 46% dei dipendenti parla di alti livelli di stress quotidiano.

“Spossatezza, mancanza di energia, stanchezza cognitiva, isolamento lavorativo – evidenzia Michela Romano, psicologa e psicoterapeuta di Santagostino Psiche – sono tutti sintomi generati dal contesto lavorativo e gestiti in modo poco efficace o addirittura sottovalutati. Le cause possono essere molteplici, possono riguardare l’organizzazione degli spazi lavorativi, così come i conflitti interpersonali, lo stile di leadership, il ritmo di lavoro, la mancanza di riconoscimento dei propri meriti, una retribuzione più adeguata in base alla propria qualifica o al tempo speso in ufficio, la gestione del tempo casa-lavoro”.

Trasformare la cultura aziendale per valorizzare il capitale umano

Ma alcune aziende ‘illuminate’ hanno già intrapreso azioni per migliorare il benessere dei dipendenti, investendo risorse volte a trasformare la cultura aziendale per valorizzare il capitale umano, fondamentale per promuovere lo sviluppo dell’organizzazione nel lungo periodo.

“L’attenzione al benessere e alla salute dei dipendenti sta diventando sempre più una priorità per le aziende – spiegano Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-managing partner di Littler Italia, come riporta Adnkronos -. I dati della nostra indagine annuale European Employer Survey 2023 lo confermano: il 70% delle aziende coinvolte ha dichiarato di promuovere azioni volte al benessere dei dipendenti, come chiave per attrarre e trattenere i talenti”.

Italiani soddisfatti della vita fra le mura domestiche? Solo a metà

Lo ha scoperto Ikea Italia nella decima edizione di Life at home report, il progetto di ricerca internazionale sull’abitare. Solo metà degli italiani (50%) è soddisfatta della vita in casa, e appena il 32% è fiducioso nei prossimi due anni. A ostacolare una migliore vita domestica nel corso del 2023 sono intervenute alcune pulsioni contrastanti. Ad esempio, per il 43% degli italiani la possibilità di rilassarsi è una priorità assoluta nella casa ideale, mentre per il 41% lo è avere una casa ordinata e organizzata. 

A destare preoccupazione sono principalmente la salute delle persone care (46%) e la situazione economica famigliare (45%). Ma anche lo stato dell’economia del Paese (31%) e gli eventi metereologici avversi (24%) che potrebbero colpire la propria casa.
Insomma, dopo la riscoperta della dimensione casalinga durante e dopo la pandemia, oggi il rapporto degli italiani con la vita in casa non segue un’evoluzione lineare.

Condivisione o privacy? Vivere bene o secondo le possibilità?

La casa è il luogo dove accogliamo gli amici, ma anche il nostro porto sicuro. Gli abbracci di una persona cara sono una delle cose che porta più gioia in casa (37%), ridere con gli amici è il principale fattore di divertimento, e sono le persone con cui viviamo a farci sentire più sicuri a casa (32%). D’altronde, avere la giusta privacy è importante per sentirsi soddisfatti e a proprio agio (26%).

C’è poi il “vivere bene” che si scontra con il “vivere secondo le proprie possibilità”.
Ma vivere secondo le proprie possibilità significa optare per le soluzioni più economiche, perché molti si trovano ad affrontare una crescente pressione per quanto riguarda la propria condizione finanziaria.

Tecnologia: un’alleata per la sicurezza

L’evoluzione del concetto di casa è il frutto di alcune direttrici, che dall’ultimo decennio fanno parte della nostra vita domestica.
La prima è sicuramente la tecnologia, passata da ‘terza incomoda’ ad alleata spesso discreta e silenziosa per rendere la casa più efficiente.

Oggi solo il 17% degli italiani pensa di passare troppo tempo davanti a uno schermo, mentre il 22% ritiene che avere accesso a internet fa sentire più sicuri in casa. Un dato maggiore rispetto a disporre di un sistema di allarme, che si attesta al 15%.

Sostenibilità: la soluzione per il benessere

Negli ultimi dieci anni la definizione di vivere bene si è ampliata fino a includere salute, benessere e sostenibilità. Dieci anni fa contavamo sulle attività fuori casa per migliorare il nostro benessere, ma negli ultimi due anni è stata proprio la casa a rispondere a questa domanda.

Anche la sostenibilità ha varcato la porta di casa, riferisce Askanews, ma nonostante l’aspirazione verso uno stile di vita più in armonia con la natura, il percorso è ancora lungo. Solo il 24% degli italiani afferma che la casa è in grado di rispondere a questo desiderio.

Italia regina di appeal turistico: è prima nell’European Tourism Reputation Index

L’Italia conquista la vetta della classifica generale della reputazione turistica europea, secondo l’European Tourism Reputation Index (ETR Index) di Demoskopika. Questo studio, integrato nella consueta analisi della reputazione dei sistemi turistici regionali italiani, confronta le principali destinazioni turistiche europee, tra cui Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Svezia, Grecia e Portogallo. Nel 2023, l’Italia primeggia in tre indicatori su cinque, dimostrando la sua eccellenza nella ricerca della destinazione, popolarità e fiducia secondo Tripadvisor.

Il trionfo del Trentino-Alto Adige 

Nel contesto dei sistemi turistici regionali italiani, il Trentino-Alto Adige mantiene saldamente la prima posizione nel Regional Tourism Reputation Index per il settimo anno consecutivo. Con 112,1 punti, la regione si conferma imbattibile grazie alla sua visibilità sui portali turistici istituzionali e al social appeal tra gli stakeholder.

La Sicilia, con un significativo salto di cinque posizioni rispetto all’anno precedente, si posiziona al secondo posto nel medagliere complessivo, superando la Toscana. Il sistema siciliano eccelle sia come destinazione turistica ricercata che come popolare online, secondo i comportamenti dei consumatori.
Il Veneto si piazza al terzo posto con 102,8 punti, grazie a risultati significativi in vari indicatori, tra cui la fiducia dei turisti, la visibilità sui canali social e la valutazione dell’offerta ricettiva.

Infine, la Basilicata si aggiudica il primato del sistema ricettivo “più apprezzato” d’Italia, con 112,9 punti, basato sulle valutazioni positive dei turisti su oltre 4 mila strutture analizzate.

Italia, Spagna e Germania sul podio 

L’Italia si conferma leader con 109,1 punti nell’European Tourism Reputation Index, seguita dalla Spagna (105,3 punti) e dalla Germania (101,6 punti). Tuttavia, l’Italia si colloca al quinto posto nella classifica parziale del Rating Social Reputation, evidenziando uno sfruttamento meno efficace dei canali istituzionali rispetto a concorrenti come Spagna, Portogallo, Grecia e Germania.

La Spagna si distingue come la destinazione “più social d’Europa” e si posiziona al secondo posto per la fiducia dei turisti, con 31,7 milioni di recensioni su Tripadvisor nei 12 mesi del 2023.
La Germania ottiene il terzo posto grazie a una performance equilibrata in tutti gli indicatori. Si colloca sul podio per la valutazione del sistema ricettivo e la ricerca della destinazione.

Le mete più social d’Italia

Il Trentino-Alto Adige si conferma “destinazione più social d’Italia” con 127,8 punti, seguito dalle Marche (108,8 punti) e dall’Emilia Romagna (104,9 punti).
La Sicilia domina la ricerca online con 12,6 milioni di pagine indicizzate, ottenendo il massimo punteggio nell’indicatore “Ricerca della destinazione”. Lombardia e Piemonte spiccano come nuove entrate con quasi 8 milioni e 7,9 milioni di pagine indicizzate rispettivamente.
Sei regioni si contendono la popolarità online, con la Sicilia al primo posto, seguita da Sardegna, Toscana, Puglia, Calabria e Liguria. La Sicilia, con una media di interesse nel tempo pari a 52 punti, guida la classifica dell’indicatore “Popolarità della destinazione”.

In sintesi, l’Italia si conferma come una delle destinazioni turistiche più ambite in Europa, con le regioni italiane che si distinguono per l’appeal sociale, la reputazione online e la popolarità tra i turisti. La diversità e l’attrattiva delle varie regioni contribuiscono al successo complessivo dell’Italia nel panorama turistico europeo.

PNRR: l’Italia raggiunge il 53% degli obiettivi di digitalizzazione

Il PNRR mette a disposizione risorse mai viste prima per la digitalizzazione del paese: 47 miliardi di euro dal 2021 a giugno 2026, di cui 40 miliardi della Missione 1, più le iniziative di digitalizzazione di altre cinque Missioni, pari al 37% di tutte le risorse europee dedicate alla trasformazione digitale nel Next Generation EU. Più di tutti gli altri Paesi in Europa. La Spagna, infatti, prevede di spendere per il digitale 20 miliardi di euro, la Germania 13, la Francia 9, e altri 19 Stati meno di 2 miliardi.

Inoltre, l’Italia ha già realizzato il 53% delle milestone e dei target concordati con l’Europa (151 dei 290 previsti), e a oggi siamo il Paese con maggiori risultati raggiunti nella trasformazione digitale nell’ambito del PNRR.

Ora la partita si fa seria

Ma ora la partita si fa seria, con molti nuovi target da raggiungere, per cui sono attesi risultati con effetti concreti sull’economia e il benessere collettivo. Lo evidenzia la ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.

“Si apre una nuova fase per l’Agenda Digitale dell’Italia, ancor più ricca di opportunità e di criticità che in passato – afferma Alessandro Perego, Direttore scientifico -. Mentre siamo impegnati a realizzare nei tempi previsti gli interventi del PNRR, è necessario pensare a come dare un futuro sostenibile alla trasformazione digitale. È importante farlo ora, mentre entriamo nella fase più critica del Piano e impostiamo le politiche di coesione, per garantire continuità d’azione e un uso corretto delle risorse disponibili”.

La sfida della PA

La PA è fondamentale nell’attuazione del PNRR e nel raggiungimento degli obiettivi di trasformazione digitale. Almeno il 60% delle risorse del Piano (nello specifico il 33% di quelle della Missione 1 per la trasformazione digitale) sono destinate a PA centrali, locali o imprese pubbliche. Tutte le risorse sono gestite e rendicontate da PA.

In particolare, entro fine 2024 l’Italia deve confermare i target di fine 2023 sui tempi di aggiudicazione delle gare pubbliche, su quelli per realizzare quanto previsto e sulla gestione dei relativi pagamenti.
Deve poi spedire almeno 3 milioni di lettere di conformità e generare un gettito fiscale, da queste, di almeno 2,7 miliardi di euro, deve ridurre del 65% le cause pendenti nei tribunali ordinari e del 55% quelle nelle corti di appello civili.

Una digitalizzazione non lineare

A livello geografico, però, si confermano ampie differenze tra le Regioni italiane e il divario endemico tra le Regioni del Mezzogiorno e quelle del Centro-Nord.

“Se vogliamo ridurre i divari storici dell’Italia con altri Paesi e tra i nostri stessi territori, servono strategie differenziate che raccordino il livello nazionale a quello regionale. L’attuazione dell’agenda digitale deve essere portata avanti con strategie multilivello – spiega Michele Benedetti, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale -, che tengano conto anche degli effetti degli interventi sulla riduzione delle disuguaglianze economico-sociali”.

Come sarà nel 2024 il mercato globale della tecnologia di consumo?

Il Consumer Electronics Show (CES), uno degli eventi chiave nel panorama tech mondiale, ha inaugurato il nuovo anno, delineando prospettive positive per il mercato dei beni di consumo tecnologici e durevoli (T&D) nel 2024. Secondo gli esperti di GfK, è tempo di riflettere sui risultati del passato e anticipare le tendenze emergenti per il futuro, con l’aspettativa che il mercato T&D tornerà a segnare un andamento positivo.

2023: il mercato T&D in ribasso

Inizialmente, le prospettive per il 2023 erano negative, con l’aspettativa di un anno difficile dovuto all’inflazione in crescita e alla saturazione post-pandemica. Tuttavia, la realtà si è rivelata ancora più complessa a causa delle tensioni geopolitiche e delle guerre, unitamente alla persistente scarsa fiducia dei consumatori e alla loro riluttanza a spendere.
Ines Haaga, esperta GfK per il settore Tech & Durables, spiega che il mercato globale Tech chiuderà l’anno con una contrazione del -3% rispetto al 2022.

I settori in crescita

Nonostante le difficili sfide, il fatturato globale nel 2023 rimane al di sopra dei livelli pre-pandemici del 2019, grazie alla crescita dei settori IT & Office e Piccolo Elettrodomestico, con aumenti rispettivamente del +16% e +21%. Al contrario, l’Elettronica di Consumo ha mostrato una tenuta più debole.

I prodotti premium piacciono… in sconto

L’indagine internazionale GfK Consumer Life rivela che nel 2023 il prezzo è diventato un elemento cruciale nelle decisioni d’acquisto dei consumatori. Retailer e produttori hanno risposto con periodi promozionali estesi e offerte su prodotti premium a prezzi scontati, consentendo ai consumatori di accedere a prodotti altrimenti fuori dalla loro portata economica.

Questi, insieme a consumatori con redditi più elevati, hanno mantenuto elevata la domanda di prodotti premium. Anche nel 2024, per i consumatori il prezzo rimarrà un elemento chiave per i consumatori. 

Prospettive per il 2024

Ines Haaga prospetta un ritorno alla crescita nel 2024, guidata da cicli di sostituzione, eventi sportivi di rilievo e differenze regionali nel settore Tech. La sostituzione di prodotti, specialmente per categorie in evoluzione come smartphone e PC portatili, dovrebbe spingere la crescita nel comparto Telecom.

Eventi sportivi come i Giochi Olimpici e i Campionati Europei di Calcio nel 2024 dovrebbero influenzare positivamente l’Elettronica di Consumo. Le divergenze regionali osservate nel 2023 potrebbero accentuarsi, con l’India in crescita e Cina e Stati Uniti che potrebbero rallentare. La prevista diminuzione dell’inflazione a livello globale potrebbe migliorare la fiducia dei consumatori nel 2024, ma i tassi di interesse rimarranno un freno agli acquisti.

Classifica qualità della vita: Milano vince per il lavoro, Monza e Brianza per la ricchezza

È la prima volta che la provincia di Udine conquista il podio tra i territori più vivibili, ed entra nella storia della classifica che misura il benessere della popolazione italiana: Udine è la città italiana dove si vive meglio. All’estremo opposto, c’è Foggia, che dopo dodici anni veste nuovamente la maglia nera e si piazza al 107° posto.

Nella 34esima edizione dell’indagine sulla Qualità della vita del Sole 24 Ore, Roma perde quattro posizioni e scende al 35° posto, mentre sono confermati il 2° e il 3° posto, rispettivamente, di Bologna, vincitrice della scorsa edizione e ancora in testa nella categoria Demografia, salute e società, e di Trento, prima nell’Indice della sportività ed Ecosistema Urbano 2023.
Trieste e Bolzano sono fuori dalla Top 10.

Milano al top Affari e lavoro, Monza e Brianza per i consumi

Sotto il podio, la provincia di Aosta (4°), mentre Bergamo, quest’anno capitale della cultura insieme a Brescia, sale al 5° e conquista il primato per Ambiente e servizi.

Firenze, dopo aver occupato il podio nel 2022, quest’anno è 6a, e Modena, 7a.
Si conferma nella Top 10 anche Milano (8°), stabile rispetto al 2022 e prima nella categoria Affari e lavoro, mentre Monza e Brianza conquista 14 posizioni (9°) e il primato nella categoria Ricchezza e consumi.

A chiudere la Top 10, Verona, che l’aveva presidiata nel 2020 e nel 2021.
Si notano le assenze di Trieste e Bolzano, scese rispettivamente in 12a e 13a posizione.

Napoli perde 7 posizioni, Venezia 12 e Genova 20

Anche in questa edizione si concentra nel Mezzogiorno la seconda metà della graduatoria, con l’unica eccezione di Cagliari al 23° posto.
Non mancano però le novità. Se tra le ultime cinque classificate arrivano anche Siracusa (104°, -14 posizioni) e Napoli (105°, – 7 posizioni) restano sostanzialmente immobili le altre grandi aree metropolitane, quasi incapaci di ripartire dopo la pressione generata da emergenze e shock economici.

Mentre Bologna, Milano e Firenze cercano di non perdere di vista la Top 10 e i loro primati, Venezia è 34a (-12), Torino 36°, e Genova 47a, in calo di 20 posizioni.
È un’edizione, quella di quest’anno, che dà ampio spazio alle disuguaglianze sul territorio. Come riferisce AGI, pandemia, emergenze climatiche, contesto internazionale aggravato dalle guerre, shock energetico e inflazione hanno esacerbato la distanza tra le città più vivibili e quelle meno.

Indicatori aggiornati per stare al passo con i cambiamenti sociali

I 90 indicatori statistici alla base dell’indagine, di cui 46 aggiornati al 2022 e 36 al 2023, presentano alcune novità, inserite per stare al passo con i cambiamenti sociali. Ad esempio, l’indice dei progetti finanziati dal PNRR, l’indice della solitudine, le farmacie, famiglie con Isee sotto 7mila euro, gender pay gap, consumo di farmaci contro l’obesità, lavoratori domestici e aumento delle temperature.

Dieci poi gli indici sintetici che aggregano più parametri, da Qualità della vita di giovani, bambini e anziani a Qualità della vita delle donne, da Ecosistema urbano a Indice della criminalità, Indice di sportività, Indice del clima fino all’ICity Rank sulle città digitali, composto da Amministrazioni digitali e Città aperte.

Cresce l’occupazione, e a settembre oltre 3 milioni in cerca di un altro impiego 

Tra il fenomeno delle dimissioni volontarie e un’accentuata mobilità interna al mercato del lavoro, saranno oltre 3 milioni gli occupati che da settembre 2023 cercheranno un nuovo impiego. Con l’occupazione in crescita aumenta quindi la voglia di cambiare lavoro. Spinti dalle nuove opportunità che offre il mercato, dalla concorrenzialità crescente delle imprese nel trattenere i giovani o reclutare le professionalità introvabili, ma anche desiderosi di un cambiamento che porti a una maggiore soddisfazione professionale o un migliore equilibrio vita-lavoro, i lavoratori italiani si muovono molto più di prima tra un’occupazione e l’altra. È quanto emerge dall’ultima indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro, dal titolo ‘Ritorno al lavoro: per 3 milioni parte la ricerca di una nuova occupazione’.

Più dimissionari per commercio, turismo e manifatturiero

Come negli anni passati, settembre, insieme a dicembre, è il mese in cui si concentra il maggior numero di dimissioni volontarie. Il 2022, in particolare, è stato l’anno record delle dimissioni: 1.255.000 lavoratori a tempo indeterminato hanno lasciato il proprio impiego (+9,7% rispetto al 2021, +24% rispetto al 2019). Con riferimento ai settori più interessati dal fenomeno, la ricerca evidenzia come su 100 dimissioni di lavoratori a tempo indeterminato la quota maggiore riguarda commercio e servizi turistici (33,8% del totale) e comparto manifatturiero (25%). In generale, i settori protagonisti dell’incremento più consistente sono quelli che hanno conosciuto una più alta crescita occupazionale, come costruzioni (+48,4%), servizi di informazione e comunicazione (+37,5%), sanità e istruzione (+35,8%).

La diffusa mobilità riguarda maggiormente i giovani

Secondo un’indagine realizzata a giugno scorso dalla Fondazione studi consulenti del lavoro, in collaborazione con l’Istituto Piepoli, il 6% dei lavoratori interpellati ha cambiato occupazione negli ultimi due anni. A questi si aggiunge un 13% che sta cercando attivamente un altro impiego. C’è poi un 26% che pur non avendo ancora agito concretamente desidera un cambiamento professionale.
La diffusa mobilità riguarda maggiormente i giovani, di cui il 13% ha cambiato lavoro, mentre il 15% è attivamente alla ricerca di una nuova occupazione. A spiegare il fenomeno, soprattutto la mancata soddisfazione per la situazione professionale precedente.

Si cerca soprattutto un miglioramento retributivo

Non a caso, per il 41% di chi ha cambiato lavoro negli ultimi due anni (o si accinge a farlo) la scelta è guidata soprattutto dallo scontento per l’attuale condizione. Seguono, ma molto distanziate, la necessità, derivante dalla scadenza di un contratto o un licenziamento (18%), e la voglia di un cambiamento di vita capace di favorire un ruolo diverso del lavoro nella propria esistenza (16%).
Il 12% fa poi riferimento al presentarsi di nuove opportunità, mentre solo il 6% alla paura di perdere l’attuale impiego. Ma cosa si cerca nel nuovo lavoro? Miglioramento retributivo (39%), che non significa meri aumenti salariali, ma anche diverse e migliori forme di welfare e benefits, migliore equilibrio lavoro-vita privata (30%), desiderio di riscoprire motivazioni e nuovi stimoli (21%), migliore clima aziendale (20%) e prospettive di crescita e carriera (20%).

GenZ e Millennial tra costo della vita e cambiamento climatico  

Anche i ragazzi e le ragazze sono preoccupati per l’impennata del costo della vita. La grande inflazione degli ultimi mesi spaventa anche i giovani, e per Millennial e GenZ di tutto il mondo è la preoccupazione numero uno. Inoltre, se flessibilità, salute mentale, attenzione all’impatto ambientale e sociale sono sempre più importanti per GenZ e Millennial alla ricerca di un lavoro, molti giovani mettono in discussione la gerarchia di valori che dà senso alla vita.
In Italia, famiglia e amici sono più importanti della carriera, e i giovani attribuiscono sempre più importanza al work-life balance e al lavoro ibrido. Lo rivela l’ultima edizione della Deloitte Global GenZ and Millennial Survey. condotta in 44 Paesi del mondo, e su oltre 800 giovani in Italia, 

Inflazione, ambiente e disoccupazione

Costo della vita, cambiamento climatico e disoccupazione sono i grandi temi che preoccupano GenZ e Millennial italiani. In particolare, il costo della vita è la preoccupazione numero uno per quasi la metà dei Millennial (46%) e il 38% dei GenZ, ma non meno rilevante rimane la questione climatica, che dovrebbe essere la priorità da affrontare secondo il 37% dei Millennial e il 34% dei GenZ.
Significative anche le percentuali di chi teme la disoccupazione (29% GenZ e 26% Millennial).
Oltre a questi tre grandi temi, gli intervistati ‘mettono sul piatto’ anche scarsità delle risorse, disuguaglianza e discriminazione, stagnazione economica e disuguaglianze sociali.

Comprare casa e mettere su famiglia? Un miraggio

In linea con la media globale, 50% dei GenZ e 47% dei Millennial teme di non riuscire ad arrivare a fine mese. In particolare, GenZ e Millennial italiani mostrano elevati livelli di preoccupazione per l’impatto della stagnazione economica, che incide sulla possibilità di creare una famiglia e acquistare una casa. Se l’economia non migliorerà nel prossimo anno, il 71% dei Millennial e il 63% dei GenZ italiani pensa che sarà molto difficile o impossibile metter su famiglia (47% e 50% media globale).
Più elevati della media globale anche i timori sulla casa: 71% dei GenZ e 73% dei Millennial pensa che sarà impossibile comprarne una nel prossimo anno se lo scenario economico non migliorerà.

La flessibilità come new normal

Per il 68% dei GenZ e il 71% dei Millennial amici e famiglia sono più importanti della carriera, che rimane comunque un elemento fondamentale di identità (49% GenZ, 62% Millennial).
Quanto alla modalità lavorativa ideale, la soluzione più desiderata (27% Millennial, 24% GenZ) è la possibilità di stabilire in autonomia se lavorare da remoto. Inoltre, se i GenZ risultano meno stressati e in ansia della media globale (44% vs 46%), i Millennial lo sono di più (42% vs 39%), e a pesare sullo stato di salute mentale sono soprattutto le preoccupazioni sul futuro economico. Ma nonostante in secondo piano rispetto all’inflazione, la preoccupazione per lo stato di salute del pianeta rimane una delle principali fonti di ansia per le giovani generazioni (63% GenZ, 64% Millennial).

L’AI aumenterà il PIL globale annuo del 7%

Negli Stati Uniti e in Europa circa due terzi dei lavori attuali sono esposti a un certo grado di automazione dell’AI, mentre l’AI generativa potrebbe sostituire fino a un quarto dei lavori attuali. In pratica, a livello globale, l’AI generativa potrebbe esporre all’automazione l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Secondo il report The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on Economic Growth, realizzato dalla banca d’affari Goldman Sachs, nel prossimo decennio l’AI generativa negli USA potrebbe aumentare la crescita della produttività del lavoro di quasi punto percentuale e mezzo l’anno, e potrebbe aumentare il PIL globale annuo del 7%, pari a un aumento di quasi 7.000 miliardi di dollari.

La perdita di posti di lavoro a causa dell’automazione verrà compensata

Tutto questo sarà possibile se agli annunci entusiasti, il moltiplicarsi di servizi che promettono di cambiare il modo di lavorare, l’improvviso interesse del grande pubblico e lo storytelling del marketing corrisponderanno l’effettiva capacità dell’AI di svolgere in maniera efficiente i molti compiti che si candida a rivoluzionare. Più in generale, a livello globale il 18% del lavoro potrebbe essere automatizzato dall’AI, con effetti maggiori nei mercati sviluppati. Ma secondo i ricercatori di Goldman Sachs, “la perdita di posti di lavoro a causa dell’automazione è stata storicamente compensata dalla creazione di nuovi posti di lavoro”. L’emergere di nuovi mestieri a seguito di innovazioni tecnologiche nella maggioranza dei casi è stata infatti la principale spinta per la crescita occupazionale.

L’esposizione all’automazione delle professioni 

L’esposizione all’automazione è l’indice che valuta quante delle molteplici mansioni riconducibili a una singola professione possono essere svolte dall’AI. Lo studio evidenzia settori dove il ruolo dell’Intelligenza artificiale resterà per ora marginale (come Pulizia e manutenzione, Installazione, manutenzione e riparazione o Costruzioni edili), quelli in cui  svolgerà un ruolo complementare svolgendo parte dei compiti e liberando tempo che la forza lavoro potrà dedicare all’aumento della produttività e quelli nei quali i lavoratori sono più a rischio di essere sostituiti dall’AI. Questi ultimi includono le professioni legali e quelle che ricadono nella categoria Supporto amministrativo e d’ufficio.

Aumenta le chance di un boom della produttività

Insomma, se è vero che l’innovazione tecnologica storicamente porta all’eliminazione di posti di lavoro, è altrettanto vero che spinge alla creazione di nuovi. La questione, riporta Ansa, è come assicurarsi che chi oggi perde il lavoro perché le sue mansioni ora possono essere svolte dall’AI abbia la possibilità di aggiornare e integrare le proprie competenze, per avere domani ancora un posto e un ruolo nel nuovo contesto lavorativo.
“La combinazione di significativi risparmi sul costo del lavoro, la creazione di nuovi posti di lavoro e l’aumento della produttività per i lavoratori che non vengono sostituiti – si legge nel report – aumenta le chance di un boom della produttività, che spingerebbe la crescita economica in modo sostanziale, anche se i tempi di tale boom sono difficili da prevedere”,.