Pmi del settore Food: perchè vincere la sfida della digitalizzazione?

Spinte dalla necessità di continuare a svolgere i processi aziendali durante la crisi sanitaria causata dalla pandemia, il 28,7% delle Pmi italiane che operano nel settore food ha attuato processi di digitalizzazione delle pratiche aziendali. Per il 49,2% delle imprese le sfide maggiori del prossimo futuro riguardano la diminuzione della domanda causata dall’inflazione, e i costi dell’energia e delle materie prime della food chain. Per il 35,6% riguardano invece gli ostacoli burocratici posti al settore.
Secondo un’indagine condotta da Glovo, tra gli elementi sfidanti vengono riconosciute alcune questioni attinenti la carenza di personale competente (27,7%), la difficoltà nel raggiungere nuovi clienti (18,8%) e la differenziazione dei prodotti per ottenere quote maggiori di mercato (18,5%).

La chiave del successo

Tra i fattori riconosciuti fondamentali per mantenere una competitività elevata il più importante è il capitale umano. Per il 73,6% delle aziende la chiave del successo è una forza lavoro adeguata, e per il 48,5% dev’essere più diversificata possibile. È importante anche una migliore capacità di comprendere il mercato (56,8%), così come comprendere le esigenze della clientela (62,7%). Per quanto riguarda le prospettive a medio-lungo termine, le aziende della food chain individuano tra gli elementi imprescindibili per la crescita, il lavoro agile (32%), l’aumento degli investimenti (31,7%), diversificazione di prodotti e servizi (31%), e capacità di rispondere in maniera adeguata all’aumento della domanda (27,7%). Ma il 23,8% delle aziende non ritiene che attualmente esistano margini di crescita per la propria attività.

Innovare è davvero utile?

Per preparare l’azienda alle sfide del futuro gli imprenditori ritengono importante incrementare l’ascolto e il coinvolgimento della clientela (46,9%), ma anche diventare più resilienti alle crisi (32,3%). Solo il 20,5% ritiene di dover digitalizzare di più l’azienda, ottimizzando i metodi di consegna (15,2%) o innovando maggiormente i servizi (8,9%), ma per il 25,4% non c’è nulla da fare per potersi preparare alle sfide del futuro. Quanto alla competizione con le grandi catene che operano nel settore alimentare le imprese riconoscono nei prezzi l’ostacolo più grande (50,5%), seguito dall’accesso alle risorse (31,4%) e la maggiore diffusione sul territorio (22,8%). Non vengono ritenuti particolarmente sfidanti gli elementi tipici delle grandi organizzazioni, come agilità (16,5%) e maggiore capacità logistica (7,9%).

Come accontentare i consumatori?

Per quanto riguarda l’analisi dei desideri dei consumatori, il 60,1% delle Pmi considera la varietà di scelta e la possibilità di personalizzazione le esigenze più importanti avvertite dai clienti. Al secondo posto le imprese riconoscono ai consumatori un’accresciuta sensibilità nei confronti della sostenibilità ambientale, per questo, il 51,5% delle aziende della food chain aumenterà la domanda di prodotti sostenibili. Per far fronte alle esigenze dei clienti le aziende ritengono necessario investire anche nella diversificazione dei prodotti (34,3%). Ma solo il 25,1% ritiene che la sostenibilità sia una leva strategica per affrontare le sfide attuali.

I dati di Threat Intelligence? I manager li cercano sui social

La metà (52,5%) di tutti i dirigenti aziendali italiani si affida a notizie, blog di settore e social media per ottenere informazioni sulle minacce e sui problemi di sicurezza informatica più urgenti all’interno delle grandi aziende. A dirlo è una recente indagine di Kaspersky, che ha evidenziato quanto i dirigenti del nostro Paese siano preoccupati di fronte alle ultime minacce informatiche provenienti dal dark web. Ma è efficace questa strategia? Mette al riparo dai pericoli del dark web?

Cos’è il dark web

In alcuni posti del modo, dove la rete e i motori di ricerca sono proibiti o inaccessibili ai cittadini, il dark web rappresenta un accesso inestimabile alle informazioni e una protezione dalle persecuzioni. Più spesso, però, queste reti estremamente sofisticate e complesse sono utilizzate per attività dannose, che offrono ai criminali un ambiente ideale per svilupparsi, lontano dagli occhi indiscreti delle autorità. La mancanza di indicizzazione standard delle pagine web rende i dark web non ricercabili dagli strumenti di ricerca più diffusi e richiede alti livelli di competenza per poter decifrare e decodificare le attività criminali in corso in varie lingue. Tuttavia, se da un lato le informazioni disponibili pubblicamente forniscono un servizio essenziale per tenersi aggiornati sulle questioni più recenti, dall’altro la dipendenza dal consumo di informazioni sulle notizie di tendenza e più “popolari” potrebbe limitare la CSuite dallo sviluppo di una comprensione complessiva della vera natura delle minacce per la loro azienda e di come agire contro di esse. 

Sono ancora pochi i casi che si affidano a esperti esterni

Per una migliore comprensione, solo il 41% dei C-level intervistati in Italia ha dichiarato di utilizzare attualmente esperti esterni per raccogliere informazioni sulle ultime minacce sofisticate che emergono dal dark web. Per quanto riguarda i vari Paesi, il 50% dei dirigenti di livello C intervistati in Spagna hanno dichiarato che è più probabile che utilizzino esperti esterni per raccogliere informazioni che possono essere discusse durante le riunioni del consiglio di amministrazione, mentre i dirigenti di livello C intervistati nel Regno Unito sono stati i meno propensi ad affermare lo stesso (solo il 34%).
“La nostra ricerca delinea il quadro di una C-Suite che ha bisogno di aiuto per comprendere le minacce alla sicurezza aziendale che si presentano ogni giorno. Il consumo di risorse disponibili pubblicamente e l’aumento del budget destinato alla formazione sono molto importanti per contribuire a sviluppare la consapevolezza, ma il panorama delle minacce è complesso e in continua evoluzione e comprende alcuni dei criminali più motivati e tecnologicamente sofisticati del pianeta. La realtà è che senza un approccio stratificato alla cybersicurezza che combini le risorse di notizie disponibili pubblicamente e la consapevolezza dei social media, con un’intelligence azionabile interpretata dal dark web da esperti, le aziende si difendono solo a metà contro le minacce”, ha spiegato David Emm, Senior Security Researcher, di Kaspersky.

Natale 2022: gli acquisti digitali quest’anno si fanno in anticipo 

Complice l’inflazione in aumento e la scarsità di forniture il comportamento dei consumatori relativamente agli acquisti natalizi è cambiato rispetto allo scorso anno. Emerge infatti come gli acquirenti ora siano più preparati al risparmio dopo i difficili avvenimenti di questi ultimi anni. Il 2022 sta volgendo al termine, e per le prossime festività natalizie non ci saranno acquisti dell’ultimo minuto, ma un’anticipazione già a inizio novembre nelle ricerche dei regali da porre sotto l’albero. Si stima infatti che durante il Black Friday e il Cyber Monday il 78% dei consumatori spenderà la metà del proprio budget per i regali di Natale, per un volume totale di vendite online stimate in aumento del 72% tra lunedì 19 novembre e il 25 novembre. Emerge da uno studio di Calicantus, che ha fatto il punto sui comportamenti di acquisto più rilevanti in vista del Natale.

Pianificare i regali settimane prima di comprarli

“Le persone preparano il terreno alla corsa ai regali tramite il digitale, che permette di pianificare gli acquisti dei prodotti con settimane di anticipo”, afferma Valentino Bergamo, ceo di Calicantus. È un vantaggio temporale che si estende anche nella sinergia tra i canali di acquisto, ovvero, tra il negozio fisico, il marketplace digitale e lo shop online. Infatti è l’omnicanalità il secondo tema di grande interesse, che ha preso piede dopo che la pandemia aveva fortemente limitato l’esperienza di acquisto nei punti vendita fisici da parte degli utenti. La ripresa dell’operatività dei negozi quest’anno richiama un numero maggiore di visitatori, rendendo quindi indispensabile l’integrazione di negozi digitali e fisici. 

Sinergia tra canale online e offline

Secondo una ricerca di Adyen e KPMG, il 63% degli italiani preferisce acquistare presso retailer che utilizzano la tecnologia per migliorare l’esperienza di acquisto sinergicamente online e offline. Di fatto, il retail fisico influenza oggi gli ordini via web, e la fusione tra store digitale e tradizionale aumenterà progressivamente il valore di ciascun canale.
Inoltre, anche la sostenibilità entra nel podio delle tematiche di grande importanza per questo Natale 2022: “grazie all’esperienza digitale, i consumatori giungeranno in negozio in maniera mirata, evitando così sprechi di tempo e di carburante”, ribadisce Bergamo.

Rispetto per l’ambiente senza rinunciare alla qualità

Secondo Salesforce la fiducia nelle aziende che pongono attenzione al rispetto per l’ambiente nelle fasi di produzione richiamerà l’attenzione dell’83% dei consumatori di tutto il mondo, mentre il 64% si allontanerà dai marchi che non rispecchiano i valori condivisi dalla popolazione. Principi etici e ricerca del valore sembrano dunque guidare i consumatori nello shopping per le prossime festività. Ma secondo un’altra ricerca di Google, il 75% degli acquirenti non è disposto a rinunciare alla qualità, nonostante le grandi sfide economiche e sociali dei nostri tempi.

Credito: le richieste delle imprese calano del -4,6%

Rispetto al terzo trimestre del 2021 nell’analogo periodo di quest’anno il numero di richieste di credito presentate dalle imprese italiane segna un calo del -4,6. Di contro, l’importo medio richiesto risulta in decisa crescita. La flessione riguarda soprattutto le imprese individuali, mentre le richieste da parte dalle società di capitali restano sostanzialmente stabili. Inoltre, quasi la metà delle richieste è stata presentata da imprese attive nei settori dei servizi e del commercio. Lo segnala l’ultimo Barometro CRIF, che analizza le istruttorie di finanziamento registrate in EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF.

Cresce l’importo medio richiesto: 123.691 euro

La dinamica in atto riguarda principalmente le imprese individuali, che nel periodo preso in esame segnano un -11,9% di richieste presentate, mentre quelle provenienti dalle società di capitali si mantengono sostanzialmente stabili al -0,8%. Al contempo si riscontra una decisa crescita dell’importo medio richiesto, (+18,45%), che si attesta a 123.691 euro. Per quanto riguarda le imprese individuali, che rappresentano la spina dorsale del tessuto economico e produttivo nazionale, l’importo medio dei finanziamenti richiesti è risultato pari a 36.374 euro (-2,6% rispetto al corrispondente periodo 2021) contro i 163.891 euro delle società di capitali (+17,7%).

L’andamento dei settori 

Tra i settori caratterizzati da volumi di richieste di credito particolarmente elevati, al vertice si collocano i Servizi, quasi un quarto del totale (23,7%) malgrado una leggera flessione rispetto al III trimestre 2021 (-1,4%). Al secondo posto il Commercio (23,0%), a conferma di quanto l’erosione dei margini stia accentuando il bisogno di liquidità. Al terzo posto Costruzioni e Infrastrutture (17,9%), con un‘incidenza sul totale richieste in sensibile aumento rispetto al 2021 (+1,7 %). Questa dinamica riflette le prospettive creditizie previste in peggioramento, e l’esigenza di nuova finanza anche a causa del progressivo venir meno delle misure straordinarie che avevano sostenuto il comparto nel 2021.

Difficoltà di approvvigionamento e impennata dei costi dell’energia 

Il settore manifatturiero (10,9%) sta affrontando le criticità derivanti dalla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e l’impennata dei costi dell’energia. Infatti, le imprese di questo settore dovranno iniziare a valutare piani di investimento per far fronte alla necessaria transizione ecologica e diminuire la dipendenza dai combustibili fossili. Nel complesso, i settori che presentano una minore incidenza sul totale delle richieste sono quelli caratterizzati da una ridotta numerosità di imprese attive sul territorio nazionale, e nel caso di quello farmaceutico, dalla capacità di generare cash flow per loro stessa natura gestendo beni di prima necessità.

La sostenibilità è un valore che si porta anche in vacanza

Non solo attenzione per l’ambiente, ma anche per tutto ciò che riguarda l’economia e la società: racchiude tutti questi valori la parola sostenibilità, sempre più condivisa – e per fortuna anche applicata – dagli italiani. Ma come si comportano in questo senso i nostri connazionali? A esplorare il rapporto fra italiani e sostenibilità ci ha pensato la Junker, forte di una community di oltre due milioni di utenti, sensibili ai temi dell’economia circolare, del riciclo e della sostenibilità e distribuiti in tutta Italia, che ha condotto un sondaggio specifico. Scoprendo in sostanza che alle buone intenzioni, poi purtroppo non seguono i fatti. E non solo per colpa degli utenti.

Un campione di oltre 10mila persone 

Vediamo innanzitutto il campione: 10.625 hanno completato il sondaggio, di cui il 59% donne. Le fasce d’età sono così distribuite: 4,3% fino ai 25 anni (per il tipo di domande il questionario era destinato a un target adulto, decisore e con capacità di spesa), 23% 26-45 anni, 53% da 46 a 65 anni e infine 19% over 65. Quest’ultimo dato è molto interessante perché, mentre dai giovanissimi ci si aspettano scelte più sostenibili anche in tema di viaggi, il target maturo era totalmente inesplorato. Ben l’86,5% sostiene che il suo impegno per la sostenibilità prosegue anche in vacanza. Ci sono però risultati sorprendenti in relazione a questa importante affermazione iniziale. Se andiamo ad approfondire, ad esempio, il tema dell’alloggio, che è l’aspetto su cui si concentra maggiormente il sondaggio della piattaforma, il 63% dei rispondenti, circa 6700, è pronto a tenere in considerazione la sostenibilità dell’alloggio nella scelta per le proprie vacanze. Di questi, il 38,8% sarebbe disposto addirittura a pagare un 5-10% in più per alloggi realmente sostenibili. Poi però il 40,9% del target non sa rispondere alla domanda se effettivamente la struttura ricettiva presso cui ha alloggiato fosse o meno ecosostenibile.

Sostenibilità nelle strutture ricettive

Ma cosa si aspettano da una struttura che si definisce ecosostenibile? In primis, bidoni per la differenziata (86,4%), poi l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile (65,9%) e regolatori di flusso per i rubinetti (45%). Meno considerati i prodotti sfusi/km zero offerti durante i pasti (32,3%) e i dispenser per shampoo, sapone, etc. (29,5%). Per quanto riguarda la scelta dell’alloggio: gli annunci menzionano gli aspetti di sostenibilità? La sorpresa è che, secondo il campione, solo il 10,8% degli annunci contiene info sulla sostenibilità, mentre ben il 44% li menziona raramente o mai.
Ecco dove è il gap: la sostenibilità non è ancora un driver dell’offerta di alloggi. A differenza dei prodotti di largo consumo, per la vendita di soggiorni non è infatti percepita come un fattore di competitività. E quella piccola percentuale di annunci (10%) che menziona elementi di sostenibilità, ha mantenuto la selling proposition? Circa il 35% dei rispondenti afferma che l’annuncio rispecchia effettivamente le reali condizioni della struttura, mentre il 63% dice solo in parte. Quindi sembra proprio che, anche ove sia considerata dagli host come fattore competitivo, la sostenibilità sia per oltre metà delle volte niente altro che greenwashing.

Italiani ai fornelli, ecco i piatti del cuore e la fonte delle ricette

Si sa, gli italiani sono amanti della buona tavola. Ma sono anche appassionati di fornelli e, appena possono, si dilettano a cucinare. Ma dove si recuperano le ricette più golose o curiose, da replicare sulla propria tavola? A questa domanda risponde l’Osservatorio Nestlé, che esplora il mondo delle ricette e svela le nuove abitudini di ricerca in un mondo che cambia velocemente ma non riesce ad eliminare l’emozione dei ricettari tramandati in famiglia. Le preparazioni più gettonate non sempre parlano di elaborazioni complesse ma al contrario di piatti apparentemente semplici.

I piatti più cercati su Internet

E’ facile pensare che per scovare la ricetta del piatto del cuore si ricorra solo e soltanto al web. Certo, basta un clic e si trova subito davvero tutto. Però, quando si tratta di cucina, non è sempre così. L’Osservatorio ha perciò sondato quali siano le fonti da cui trarre spunto o ricette da preparare a casa, evidenziando anche diversi aspetti curiosi, compresa la classifica delle ricette più cercate. Molte e fantasiose le nostre fonti capaci di semplificare la preparazione di un piatto complesso. Eppure, quelli più cliccati negli ultimi 12 mesi, secondo Google Trends, sarebbero stranamente i piatti più semplici, quelli che avremmo potuto imparare persino da soli. Il primo posto va a quelli di pasta (in ordine, alla boscaiola, con peperoni e pasta e fagioli), al secondo posto la torta di pere, al terzo posto i pancake, al quarto le crepes, al quinto posto la pizza. Al sesto posto una ricerca curiosa: quella dei biscotti ma non quelli appetitosi come comunemente intendiamo, bensì i biscotti Squid Game di solo zucchero e bicarbonato, dalla serie tv coreana direttamente al forno. 

Non solo Google

La nostra esperienza gastronomica si snoda solo attraverso Google? E come facevamo quindi prima? Lo studio dell’Osservatorio Nestlé conferma che il 95% degli italiani ricorre ad almeno una fonte online e il 67% utilizza almeno un social media per cercare ispirazione per le ricette. Internet con Google guida le nostre ricerche (56%), fra i social media Youtube spicca fra tutti (46%). Ma ad ognuno la sua (fonte): i 18-24enni (58% e… sì, scopriamo che anche loro cercano ricette!) e i 25-34enni (49%) si affidano soprattutto ad Instagram, la fascia 35-44 anni (58%) attinge soprattutto dai siti web o dai blog di appassionati di cucina; i 45-54enni (43%) preferiscono i tutorial su Youtube. Ed è tra gli over 55 (53%) che spicca una particolare predilezione per i ricettari di famiglia, una tradizione portata avanti nel tempo anche dopo il boom di tutte le fonti online. Ma la nostra vita prima dell’avvento dei social network non era però così priva di risorse: il 62% godeva ancora del buon odore della carta stampata prendendo spunto principalmente dai libri di cucina e il 52% anche dai ricettari di famiglia, quelli tramandati di generazione in generazione. Il 46% cercava direttamente la ricetta attraverso Internet, il 35% attraverso trasmissioni televisive dedicate e il 34% si affidava alle ricette lette sui giornali o acquistava direttamente le riviste dedicate alla cucina.

Educational Technology: un mercato in crescita con qualche criticità

L’EdTech è l’insieme delle soluzioni a supporto del processo educativo abilitato da tecnologie hardware a software, volto a massimizzare la qualità dell’esperienza di apprendimento. In Italia le imprese investono circa il 47% del proprio budget allocato alla formazione in digital learning, ma ai vantaggi derivanti dalla flessibilità della fruizione, emergono ancora criticità rispetto all’onerosità degli investimenti necessari. Per l’86% delle scuole gli investimenti futuri in tecnologie digitali costituiscono un obiettivo strategico, percentuale che si abbassa al 77% nelle università italiane. Sono alcuni dati dell’Osservatorio EdTech della School of Management del Politecnico di Milano.

Per il 35% delle scuole l’investimento economico in EdTech è troppo oneroso

In Italia sono le tecnologie tradizionali a supportare ormai a tutti gli effetti il processo di apprendimento degli istituti scolastici. Prevale l’utilizzo del registro elettronico (99%), seguito da lavagne interattive e videoproiettori (93%) e dalle piattaforme per la gestione dell’aula a supporto della didattica digitale integrata (79%). Come benefici percepiti emerge soprattutto il miglioramento dell’efficienza dei processi amministrativi (87%), mentre la maggiore criticità rilevata risiede nelle competenze dei docenti (54%) e del personale amministrativo (42%). Quasi la metà delle scuole ritiene che sia i docenti sia il personale amministrativo non abbiano le competenze necessarie per utilizzare correttamente gli strumenti digitali. Il 35% delle scuole, inoltre, indica l’investimento economico in EdTech troppo oneroso.

Un obiettivo strategico per il 77% delle università

Sono ancora poche le scuole italiane che utilizzano tecnologie più avanzate come software per la creazione di contenuto all’interno di laboratori, learning app e gaming, realtà virtuale/aumentata o AI. Per quanto riguarda le prospettive di sviluppo dei prossimi due anni gli investimenti in tecnologie digitali riguardano soprattutto laboratori di coding e robotica (57%), lavagne/pannelli interattivi, videoproiettori e realtà virtuale/aumentata.
La trasformazione digitale dell’esperienza educativa è un obiettivo strategico per il 77% delle università italiane, che però investono solo il 5% del totale dei proventi in soluzioni di Educational Technology. Nei prossimi 3-5 anni, le università puntano a investire principalmente in learning app e gaming, AI e blockchain.

Investimenti delle imprese e offerta delle start-up

Il 59% delle start-up EdTech offre soluzioni tecnologiche a supporto della formazione, mentre la restante parte si divide tra l’erogazione di contenuti e le soluzioni di finanziamento per studenti e individui. La maggior parte delle start-up eroga la propria offerta attraverso piattaforme online, con cui vengono messi a disposizione diversi contenuti formativi (videopillole, attività interattive e videolezioni). Da parte delle imprese che ne usufruiscono, tra i maggiori benefici il più indicato è la flessibilità di fruizione (83%), oltre l’innovazione e la creazione di nuovi prodotti formativi, la facilità di estensione delle possibilità di apprendimento, il contenimento dei costi nell’erogazione della formazione e il miglioramento della qualità dell’offerta formativa. Dal punto di vista delle criticità, emerge soprattutto l’onerosità dell’investimento (42%). 

Com’è il sentiment dei consumatori italiani dopo due anni di pandemia?

Voglia di benessere, di ritornare alla socialità, ma anche timori legati all’inflazione e all’aumento dei prezzi. Con la casa che, ancora, resta un po’ il centro della vita non solo personale. In 24 mesi di pandemia molte cose sono cambiate, come evidenzia il Consumer Tracker di Deloitte. “In due anni di pandemia le priorità e le abitudini dei consumatori italiani sono molto cambiate: benessere personale, sostenibilità ambientale e ricerca di una nuova quotidianità improntata al work-life balance sono sempre più importanti per gli italiani. La diffusione del lavoro da remoto, invece, ha spostato molte attività di consumo in casa e ha creato nuove abitudini che potrebbero rimanere anche dopo la pandemia. Sullo sfondo, molto significativa la preoccupazione per i prezzi in crescita: mentre gli italiani stanno progressivamente tornando alla socialità pre-Covid, la paura dell’inflazione riguarda ben 3 italiani su quattro. Per le aziende che operano in ambito consumer è importante comprendere e intercettare questi cambiamenti per potere essere proattive nell’implementare soluzioni che rispondano ai nuovi bisogni dei consumatori”. Lo afferma Andrea Laurenza, Consumer Industry Leader di Deloitte, nel commentare gli ultimi dati del rapporto, rilevati a febbraio 2022. Con un monitoraggio permanente sulle principali abitudini dei consumatori, il Consumer Tracker di Deloitte indaga le abitudini di consumo di più di 20.000 consumatori in 23 paesi nel mondo. Qualche dato in sintesi: il 45% dei consumatori ha dichiarato di essere alla ricerca di un cambiamento personale e il 41% vuole dare priorità al proprio benessere. Mentre i consumi fuori casa cominciano a risalire, il 75% è preoccupato per l’aumento dei prezzi.

Italiani alla ricerca della work-life balance

Oggi, rispetto a due anni fa, gli italiani hanno dichiarato di sentirsi molto più concentrati sui cambiamenti in atto nella sfera personale. Secondo i dati del Consumer Tracker, infatti, il 45% degli intervistati ha dichiarato di essere alla ricerca di un cambiamento personale, dando priorità al proprio benessere (41%). In linea con questo nuovo atteggiamento, il 45% degli italiani dichiara che negli ultimi 12 mesi ha preferito ridurre gli oggetti e beni materiali in proprio possesso. Inoltre, per il 33% è molto importante trovare più tempo per vivere il presente, a fronte di meno ore di lavoro straordinario. Un cambiamento che attraversa tutte le fasce di reddito, ma che è concentrato soprattutto tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni.  Nonostante la casa sia sempre più la base operativa in cui alternare lavoro, svago e vita privata, i dati mostrano che gli italiani continuano ad avere una forte propensione alla socialità. Infatti, a fronte dei timori per la salute legati alla pandemia, rispetto a 12 mesi fa, circa un italiano su tre (29%) ritiene di cercare una maggiore interazione di persona, quasi doppiando coloro che sentono la necessità di sostituire o mediare l’interazione di persona con i servizi digitali (17%). 

Paura dell’inflazione

Gli italiani, oggi come un anno fa, se non addirittura di più, sono propensi a dare priorità al risparmio per il futuro (47%) rispetto a spendere per il presente (29%), mostrando un certo timore per sfide ancora ignote e per un contesto economico non ancora completamente ristabilito. Nel corso del mese di gennaio 2022, i timori degli italiani legato ai risparmi sono cresciuti di 22 punti percentuali, interessando oltre sette consumatori su dieci. La quota di coloro che intendono dedicare parte del proprio stipendio mensile al risparmio è di un italiano su due. La principale preoccupazione economica percepita nella quotidianità dal 75% degli italiani è l’aumento dei prezzi, un timore dettato dall’inflazione in continua crescita.  

Twitter: con la funzione “modifica tweet” è svolta rivoluzionaria

Svolta epocale per Twitter. La novità era stata annunciata il primo aprile scorso dalla stessa Twitter: per i social dei cinguettii è in arrivo la funzione per la modifica dei tweet. Il social network, da uno dei suoi profili, ha dichiarato quindi che presto sarà possibile correggere i messaggi caratterizzati da un errore, e non sarà più necessario eliminare del tutto il ‘cinguettio’. La svolta ‘edit’ rappresenta un cambiamento rivoluzionario per il social network, una possibilità da anni richiesta da milioni di utenti.
“Visto che tutti lo stanno chiedendo – si legge nel messaggio pubblicato dal profilo Twitter Communications – sì, stiamo lavorando dallo scorso anno sulla funzione ‘modifica’. No, non abbiamo avuto l’idea da un sondaggio. Nei prossimi mesi faremo partire il test per vedere cosa funziona, cosa non funziona e cosa è possibile”.

La novità era stata interpretata come un pesce d’aprile

Il messaggio, però, era stato interpretato come un pesce d’aprile, ma Twitter ha rassicurato: “Non stavamo scherzando…”. 
Come ha spiegato Jay Sullivan, responsabile del prodotto nell’organigramma di Twitter, “Abbiamo studiato come creare la funzione Edit in modo sicuro fin dallo scorso anno e come pianificare i test nei prossimi mesi. La modifica è stata la funzione più richiesta su Twitter per anni – ha aggiunto Sullivan -. Gli utenti vogliono essere in grado di correggere errori a volte imbarazzanti e refusi”. Ma finora l’hanno fatto cancellando e scrivendo nuovamente il tweet.

I limiti per evitare un uso improprio della funzione

“Senza elementi come il limite di tempo, i controlli e la trasparenza relativa a ciò che viene modificato, la funzione potrebbe essere utilizzata in maniera impropria per modificare lo sviluppo di una conversazione pubblica – ha proseguito Sullivan -. La tutela dell’integrità della discussione pubblica è la nostra priorità assoluta mentre ci apprestiamo a intraprendere il lavoro”.

“Un approccio attento e cauto”

“Per questo, ci vorrà del tempo e cercheremo suggerimenti e obiezioni prima di lanciare la funzione Modifica – ha sottolineato Sullivan -. Avremo un approccio attento e cauto, condivideremo gli aggiornamenti man mano che procediamo”.
Ma la nuova funzione non è l’unica novità del social dei cinguettii.
“Questa è solo una delle modifiche che stiamo studiando mentre cerchiamo di dare agli utenti più scelta e controllo nella loro esperienza su Twitter – ha precisato ancora Sullivan -, perché cerchiamo di favorire una conversazione sana e aiutare le persone a sentirsi più a proprio agio su Twitter. Queste sono le cose che ci motivano ogni giorno”.

La Realtà Aumentata nell’eCommerce

Tra le principali novità tecnologiche nel settore degli acquisti una delle più significative 8se non rivoluzionaria) è sicuramente la realtà aumentata. Una tecnologia che consente ai clienti di visualizzare i prodotti in 3D come se fossero fisicamente in un punto vendita, anche se invece sono comodamente sul divano di casa o in ufficio. A sottolineare quanto possa essere strategica l’adozione della AR per i venditori, compresi quelli on line, è Yakkyofy, azienda italiana del settore dei servizi per eCommerce e dropshipping, che ha lanciato un nuovo servizio che offre ai clienti file 3D per la visualizzazione in Realtà Aumentata, facilmente utilizzabili su tutte le principali piattaforme di shopping.

I numeri del mercato della AR

Il mercato della realtà aumentata è arrivato a valere oltre 30,7 miliardi di dollari e dove nel 2021 sono già stati venduti oltre 400.000 occhiali grazie all’AR. I rivenditori online stanno lentamente adottando l’AR, ma oggi solo l’1% di loro utilizza attivamente questa tecnologia. Infatti, in un rapporto di Mobile Marketer, il 52% dei rivenditori ha affermato di non essere pronto ad utilizzare l’AR o altre tecnologie simili. L’AR può aiutare i clienti a capire meglio come un prodotto appare, a valutarne i dettagli da tutte le angolazioni permettendogli, in questo modo, di capire esattamente cosa stiano acquistando e rendendo più facile soddisfare le loro aspettative. Le statistiche mostrano che l’AR aumenta la fiducia degli acquirenti, tanto che il 71% dei consumatori afferma che acquisterebbe più spesso se potesse utilizzare l’AR e il 61% di loro dichiara di preferire gli store che offrono esperienze AR. Secondo uno studio condotto da UPS, il 27% dei consumatori restituisce i prodotti senza una ragione precisa, di conseguenza permettergli di “vedere da vicino la merce prima di acquistarla” anche se virtualmente, può fornire loro maggiori informazioni per decidere se effettuare o meno l’acquisto e, di conseguenza, ridurre la percentuale di resi.

Tasso di conversione fino al +40%

“In base ai nostri studi”, afferma Giovanni Conforti, Ceo e Founder di Yakkyofy, “l’utilizzo della Realtà Aumentata nello shopping online può incrementare il tasso di conversione fino al +40%, aiutare a fidelizzare i clienti e a ridurre la percentuale di resi”. “Per la maggior parte dei proprietari di eCommerce”, continua Conforti, ” realizzare modellazioni 3D, rendering in AR, la fotogrammetria necessarie per permettere la visualizzazione in AR del loro inventario può essere un’impresa molto difficoltosa. Trovare il partner giusto è importante per affrontare questa transizione tecnologica”.