PMI, quali i sono i principali pericoli informatici?

In occasione della Giornata Internazionale delle PMI, promossa dalle Nazioni Unite, Kaspersky ha presentato un report completo che evidenzia i crescenti pericoli che le piccole e medie imprese (PMI) devono affrontare nell’attuale panorama delle minacce informatiche. Poiché le PMI costituiscono ben il 90% di tutte le aziende a livello globale e contribuiscono al 50% del prodotto interno lordo mondiale, secondo i dati delle Nazioni Unite, è necessario rafforzare le misure di sicurezza informatica per proteggere questi poli economici. Il nuovo report di Kaspersky “Threats to SMB” ha evidenziato una realtà preoccupante: i criminali informatici continuano a colpire le PMI con una serie di tecniche sofisticate. Il numero dei dipendenti delle PMI che incontrano malware o software indesiderati, camuffati da applicazioni aziendali legittime, è rimasto relativamente stabile rispetto all’anno precedente (2.478 nel 2023 rispetto a 2.572 nel 2022) e i criminali informatici persistono nel tentativo di infiltrarsi in queste aziende.

Metodi di truffa sempre più “creativi”

I truffatori ricorrono a una grande varietà di metodi, tra cui l’exploit delle vulnerabilità, e-mail di phishing, messaggi di testo ingannevoli e persino link YouTube apparentemente innocui. L’obiettivo è sempre quello di accedere a dati sensibili. Questa tendenza preoccupante evidenzia il bisogno urgente di rafforzare le misure di sicurezza informatica per salvaguardare le PMI dalle cyber minacce costanti. Il report ha mostrato che nei primi cinque mesi del 2023 sono stati rilevati 764.015 file dannosi destinati alle PMI.

Exploit, phishing e scam i rischi maggiori

Gli exploit sono stati la minaccia più diffusa, con il 63% (483.980) di rilevamenti nei primi cinque mesi dell’anno. Questi programmi malevoli sfruttano le vulnerabilità dei software, permettendo ai criminali di eseguire i malware, aumentare i propri privilegi o distruggere applicazioni critiche senza alcuna azione da parte dell’utente.
Inoltre, le minacce di phishing e scam rappresentano un rischio significativo per le PMI: i criminali informatici inducono facilmente i dipendenti a divulgare informazioni riservate o a essere vittime di truffe finanziarie. Alcuni esempi di queste tecniche fraudolente sono le false pagine di servizi bancari, di spedizione e di credito, progettate per ingannare persone inconsapevoli.
Il report di Kaspersky pone l’attenzione anche su un metodo spesso utilizzato per infiltrarsi negli smartphone dei dipendenti, chiamato “smishing”, combinazione di SMS e phishing. Questa tecnica prevede che la vittima riceva un messaggio, contenente un link, distribuito attraverso diverse piattaforme, come SMS, WhatsApp, Facebook Messenger, WeChat e altre. Se l’utente clicca sul link inserito, il dispositivo si espone al caricamento di codici malevoli che possono comprometterne la sicurezza.

Come proteggersi dagli attacchi

I dati utilizzati nel report sono stati raccolti da gennaio a maggio 2023 tramite Kaspersky Security Network (KSN), un sistema protetto per l’elaborazione di dati anonimizzati relativi a minacce informatiche, condivisi volontariamente dagli utenti Kaspersky. Gli esperti Kaspersky hanno esaminato i software più utilizzati dalle PMI in tutto il mondo, tra cui MS Office, MS Teams, Skype e altri. Grazie all’analisi incrociata di questi software con la telemetria KSN, i ricercatori sono riusciti a determinare l’entità del malware e del software indesiderato, distribuiti sotto le sembianze di queste applicazioni.
Per proteggere la propria azienda dalle cyber minacce, Kaspersky consiglia di fornire ai dipendenti una formazione di base in materia di sicurezza informatica, simulare un attacco di phishing così da assicurarsi che siano in grado di distinguere le e-mail di phishing. Inoltre, è importante utilizzare soluzioni protettive per gli endpoint e per i server di posta elettronica con funzionalità anti-phishing, come Kaspersky Endpoint Security for Business o Cloud-Based Endpoint Security, per ridurre la possibilità di infezione attraverso le email di phishing. Altre misure di protezione includono l’adozione di policy per accedere agli asset aziendali, comprese le caselle e-mail, le cartelle condivise e i documenti online, e l’effettuazione di backup regolari dei dati più importanti.

Troppo tempo sui dispositivi: i ragazzi soffrono di disturbi del sonno

La pandemia, con i Lockdown e l’uso della Dad, ha aumentato drasticamente l’esposizione ai dispositivi elettronici nei minori, comportando un forte incremento dei disturbi del sonno.
“Rispetto al periodo pre-pandemia l’aumento del tempo trascorso davanti a uno schermo ha riguardato complessivamente il 68,7% dei bambini e dei ragazzi. Nello specifico, il tempo di esposizione è più che triplicato per motivi scolastici, da poco meno di un’ora al giorno a tre ore e mezza, e ha riguardato il 72% di bambini e ragazzi. Mentre per uso ricreativo l’uso è quasi raddoppiato, da un’ora e tre quarti a tre ore, e ha riguardato il 49,7% dei soggetti”.
È quanto si legge in uno studio condotto dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù insieme all’Università Sapienza e a quella di Tor Vergata di Roma. 

Più di due ore davanti allo schermo nelle ore serali

“Considerando solo le ore serali, dopo le 18, l’aumento del tempo di esposizione ai dispositivi è stato osservato nel 30% del campione, pari a 325 bambini – si legge nella ricerca -. Si è passati da appena il 13,7% di bambini e ragazzi che trascorrevano più di due ore davanti agli schermi prima del Covid al 29,1%, più del doppio. Un dato particolarmente significativo, visto che i fattori maggiormente associati al rischio di insorgenza di disturbo del sonno sono proprio quelli relativi al tempo passato davanti a uno schermo nelle ore serali”.

Aumenta del 50% la quota di bambini che dorme male

Per valutare la presenza o meno dei disturbi del sonno, è stato utilizzato lo Sleep Disturbance Scale for Children, un apposito questionario per valutare le abitudini riguardanti il sonno nei bambini e negli adolescenti. Le domande comprendono la durata del sonno, le difficoltà nell’addormentarsi e nello svegliarsi, il numero di volte in cui ci si sveglia durante la notte e lo stato di agitazione durante il sonno. Lo studio ha dimostrato un aumento di oltre il 50% dei disturbi del sonno rispetto al periodo pre-pandemia. Nel dettaglio, riporta Adnkronos, si è passati da 240 bambini e adolescenti che mostravano già disturbi del sonno prima dell’inizio della pandemia, ai 367 durante la pandemia, il 33,9% di tutto il campione, praticamente un minore su tre.

“L’importanza delle raccomandazioni di igiene del sonno”

“Lo stile di vita dei bambini e di ragazzi è cambiato profondamente. Ormai i dispositivi elettronici fanno parte della loro vita, sia scolastica sia sociale, e questo persiste anche ora che siamo molto lontani dalle chiusure pandemiche. Tutto questo non fa che sottolineare l’importanza delle raccomandazioni di igiene del sonno – commenta Romina Moavero, neurologa dello sviluppo all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e coautrice dello studio – per promuovere comportamenti adeguati a favorire il buon sonno in infanzia e in adolescenza. Soprattutto perché il sonno in questa fascia di età è cruciale per migliorare apprendimenti, abilità cognitive, scolastiche e anche sociali”.

Bonus famiglia: tutte le agevolazioni per il 2023

Con il termine ‘bonus famiglia 2023’ si intendono tutte le agevolazioni legate alla conciliazione vita-lavoro, ai sostegni economici alla genitorialità e alle agevolazioni rivolte ai nuclei familiari. La Legge di Bilancio 2023 ha introdotto infatti una serie di misure dedicate alle famiglie in aggiunta a quelle già in vigore o ai sussidi riconfermati con modifiche. Alcuni Bonus sono nuovi, altri, come l’Assegno Moglie a Carico, il Bonus Asilo Nido, e l’Assegno Unico Figlio, sono una conferma di quelli già presenti lo scorso anno. E con i nuovi Servizi Proattivi di Inps si viene contattati direttamente via email quando sono in arrivo nuovi Bonus in linea con il proprio ISEE.

Aiuti per acquisti, bollette e spese veterinarie

La Carta Acquisti, detta anche Carta Risparmio Spesa, aiuta le famiglie in difficoltà economica a fare la spesa nei supermercati aderenti al programma, e consiste in una carta prepagata utilizzabile presso i supermercati convenzionati.  Il Bonus 200 euro è invece un contributo economico destinato a lavoratori dipendenti, autonomi, pensionati e disoccupati con reddito non superiore a 40.000 euro annui lordi, mentre per accedere al Bonus Bollette è richiesto un ISEE massimo di 15mila euro, o non superiore a 20.000 euro se il nucleo ha almeno 4 figli a carico o se titolare di Reddito di Cittadinanza o Pensione di Cittadinanza. Le spese veterinarie detraibili sono invece un’agevolazione fiscale per le famiglie che hanno sostenuto spese per il veterinario o l’acquisto di farmaci per animali domestici.

Sostegno per trasporti, patente ma anche psicologo e vacanze

Oltre ai Bonus già citati, il Governo prevede altre misure di sostegno, come il Bonus Trasporti, che prevede un rimborso del 30% della spesa sostenuta per l’acquisto di abbonamenti annui o stagionali dei servizi di trasporto pubblico locale, o il Bonus Patente, rivolto ai giovani autisti per l’autotrasporto, gestita dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ma c’è anche il Bonus Psicologo, destinato a chi vive una condizione di ansia, stress, depressione e fragilità psicologica a causa della pandemia e ha un ISEE non superiore a 50.000 euro, o il Bonus Vacanze, una misura che consente a pensionati e famiglie con disabili di ottenere un contributo economico per soggiorni in Italia effettuati tra il 1° luglio 2023 e il 31 ottobre 2023. 

Le misure per la casa

Oltre alle misure più dirette al sostegno economico, il Governo riconferma o introduce anche vari bonus dedicati alla casa. In particolare, il Bonus Ristrutturazioni, prorogato e ampliato, che permette ai contribuenti di detrarre il 50% delle spese sostenute per lavori di ristrutturazione, il Bonus Tende da Sole, introdotto nel 2023 per l’installazione di dispositivi fotoprotettivi, il Bonus Condizionatori, che rientra nel pacchetto di incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici, il Bonus Verde, un’agevolazione fiscale disponibile per chi desidera migliorare il proprio giardino o balcone, e il Bonus Mobili, una detrazione per gli acquisti di mobili o grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+.

Quando bisogna cambiare i pneumatici invernali?

Il cambio stagionale dei pneumatici è importante per mantenere l’efficienza del veicolo e la sicurezza dei passeggeri. In Italia, la legge stabilisce che a partire dal 15 maggio debbano essere montati pneumatici estivi. Ma quali sono i vantaggi di sostituire i pneumatici? Cosa succede se si tendono i pneumatici invernali per più tempo del dovuto?

La normativa sul cambio pneumatici in Italia

Per tutti gli automobilisti in Italia, il cambio pneumatici è regolamentato dalla normativa UNI 11313. Secondo questa normativa, i pneumatici estivi devono essere montati a partire dal 15 maggio e possono rimanere sulla vettura fino al 15 ottobre. Durante i periodi più freddi, invece bisogna montare i pneumatici invernali. In caso di neve o di terreno gelato, è consigliabile che si montino gomme da neve sul proprio veicolo al fine di garantire una guida sicura ed efficiente. La principale differenza tra i pneumatici estivi e e quelli invernali sta nelle loro diversificate capacità di aderenza alle strade in condizioni meteorologiche diverse. Ciò significa che se si tengono le gomme estive a temperature troppo basse, non solo si corrono rischi per la propria sicurezza ma si compromette anche la durata degli pneumatici stessi.

Fino a quando è possibile tenere le gomme invernali?

Secondo il Codice della Strada, i pneumatici invernali devono essere sostituiti con i pneumatici estivi entro il 15 maggio. Tuttavia, ci sono delle eccezioni che consentono di mantenere gli pneumatici invernali fino al 15 novembre. Gli pneumatici invernali possono essere tenuti fino al 15 novembre se le temperature della strada non superano i 7°C e se non c’è pioggia. In caso contrario, è necessario sostituire gli pneumatici invernali con quelli estivi entro il 15 maggio. Sebbene le temperature possano variare da regione a regione, è fondamentale monitorare regolarmente la temperatura stradale, in modo da determinare quando sostituire gli pneumatici.

Le sanzioni sono salate

Le sanzioni in caso di mancato rispetto di questa norma sono salate. Se non si hanno montati gli pneumatici estivi, la multa può andare da un minimo di 422 euro fino a un massimo di 1.682 euro. Ed è previsto anche il ritiro del libretto di circolazione. Insomma, conviene ricordarsi di effettuare il cambio entro il 15 maggio: la sicurezza (e pure il portafoglio) ringraziano!

Bando di auto a benzina e diesel, cosa farebbero gli italiani?

Ha destato molto scalpore l’ipotesi avanzata dal Parlamento europeo di vietare la vendita di auto a benzina e diesel a partire dal 2035. La norma è al momento in stand-by fino a data da destinarsi, ma come si comporterebbero gli automobilisti italiani se la misura diventasse realtà? E’ cosa nota che i nostri connazionali siano “fan” dell’auto privata, e decidere di usare mezzi alternativi o nuove forme di mobilità potrebbe non essere una scelta così semplice. Secondo un’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat, quasi 17 milioni di italiani (38,7%) opterebbero per un veicolo ibrido, mentre il 17,9% (oltre 7,5 milioni di rispondenti) sceglierebbe un’auto completamente elettrica. La percentuale di chi preferisce l’elettrico sale addirittura al 43% tra i rispondenti del Centro Italia e al 19,8% al Nord Est. 

Le giovani generazioni le più propense ai mezzi ibridi

Le generazioni più giovani sono le più propense all’acquisto di veicoli a combustibili alternativi, con il 43,6% degli italiani tra i 25 e i 34 anni che sceglierebbe un veicolo ibrido e il 26,6% degli 18-24enni che opterebbe per un’auto completamente elettrica, il tutto chiaramente senza contare i costi del veicolo.
In caso di acquisto anche prima del 2035, il 9,9% degli italiani non comprerebbe più un’auto ma opterebbe per mezzi alternativi, mentre quasi 4 milioni di persone si indirizzerebbero al noleggio a lungo termine. 

L’elettrica potrebbe diventare la prima scelta

Per quanto riguarda gli acquisti successivi al 2035, quando non sarà più possibile scegliere i motori a diesel o benzina, più di un terzo degli italiani (quasi 15 milioni) comprerebbe un’auto elettrica, in particolare tra gli 18-24enni (46,8%). Più di 4 milioni di persone (9,7%) opterebbero per l’uso esclusivo di auto a noleggio a lungo termine, mentre il 7% sceglierebbe i mezzi pubblici. Circa 13,5 milioni di italiani non hanno ancora le idee chiare su come si comporteranno in caso di acquisto dopo il 2035.

Contano anche le politiche governative e le infrastrutture

L’indagine di Facile.it conferma quindi che i nostri connazionali sono ben disposti nei confronti dell’innovazione tecnologica nel settore dell’automobile, con un’ampia percentuale di cittadini favorevoli all’acquisto di veicoli ad alimentazione alternativa. In questo percorso, però, è fondamentale chele politiche pubbliche siano in grado di supportare il cambiamento, ad esempio con incentivi per l’acquisto di auto elettriche e la creazione di infrastrutture di ricarica adeguate in tutto il paese.

Il 30% dei lavoratori italiani vuole la “settimana corta” 

Una settimana lavorativa di quattro giorni? Quasi un terzo dei lavoratori italiani sarebbe favorevole, proprio come i loro colleghi inglesi. Anche i lavoratori italiani sarebbero infatti interessati a sperimentare nuove forme di flessibilità oraria sul posto di lavoro. Secondo il Randstad Workmonitor, l’indagine realizzata in 34 Paesi su 35mila lavoratori dipendenti, di cui 1.000 in Italia, il 29% dei dipendenti italiani preferirebbe la settimana corta, mentre il 9% vorrebbe lavorare in orari tradizionali, ma in giorni diversi della normale settimana lavorativa. Il 14%, poi, vorrebbe poter lavorare su turni divisi, alla mattina presto e alla sera tardi, e il 6% vorrebbe lavorare di notte. Solo meno di un lavoratore italiano su due (43%) preferisce l’opzione di giorni e orari tradizionali.

Giovani e operai preferiscono l’opzione tradizionale

Sull’ipotesi della settimana corta età diverse dimostrano sensibilità differenti. A preferirla sono soprattutto le persone tra 35 e 44 anni, il 32% del totale, percentuale che scende al 31% tra i 55 e i 67 anni, al 30% tra i 25 e i 34 anni e al 28% tra i lavoratori di età compresa tra i 45 e i 54 anni. La percentuale più bassa si riscontra tra i giovani compresi tra i 18 e i 24 anni, che vorrebbero lavorare 4 giorni solo nel 16% dei casi. A prediligere la settimana corta sono più gli impiegati, favorevoli nel 32% dei casi, degli operai (15%).

La flessibilità di orario è comunque un criterio rilevante

Di certo, la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani, l’83%, considera rilevante la flessibilità di orario. Una flessibilità che, in realtà, in grande parte è già sperimentata: il 27% negli ultimi 12 mesi ha visto introdurre dal proprio datore di lavoro forme di flessibilità, potendo stabilire autonomamente il proprio orario professionale.  Inoltre, riporta Adnkronos, per il 35% dei lavoratori italiani un motivo valido per non accettare un’offerta di lavoro riguarda la mancanza di flessibilità oraria e il fatto che non permetta di stabilire il proprio orario di lavoro.

Un tema che divide

“I risultati delle prime sperimentazioni di una settimana lavorativa di 4 giorni – commenta Valentina Sangiorgi, chief hr officer di Randstad – sono interessanti, ma è difficile immaginare oggi i possibili effetti dell’introduzione su larga scala. Di certo, il Workmonitor rivela che molti italiani sono favorevoli alla possibilità della settimana corta, ma anche che il tema è divisivo, perché le preferenze di orario sono le più diverse. In generale, una nuova modulazione dell’orario di lavoro può produrre benefici per lavoratori e aziende, ma deve tenere in considerazione le esigenze di tutti: di chi ricerca un giorno libero in più, come di chi necessiterebbe piuttosto di una giornata corta, ad esempio, per impegni familiari. Al di là delle mode, è importante compiere scelte organizzative in grado di soddisfare i bisogni delle persone”.

PMI italiane, 1 su 4 vittima di cybercrime

Tra le paure che devono affrontare le piccole e medie imprese c’è quella degli attacchi informatici. Ed è un pericolo concreto, dato che circa il 25% delle PMI italiane ha subìto una simile aggressione. Per la precisione, un’azienda su quattro è oggi interessata da problemi di sicurezza informatica.  A tal punto che aumenta la percentuale di aziende che, allarmate dalla situazione, hanno deciso di investire risorse per mettere al sicuro i propri dati. Secondo un’indagine condotta da SWG per Confesercenti sulla sicurezza delle PMI tra 10 e 50 dipendenti, si rileva che nel 2023 il 52% delle PMI investirà in sicurezza, con un impegno economico complessivo di circa 470 milioni di euro. 

La criminalità informatica è attiva anche nelle attività economiche 

La sicurezza delle informazioni è un problema che colpisce sempre di più le attività economiche. La progressiva digitalizzazione del settore terziario ha infatti portato la quasi totalità delle imprese interpellate – il 97% per l’esattezza – ad adottare uno o più sistemi informatici. Sul campione delle PMI coinvolte nella ricerca, il 90% dispone di un sistema di posta elettronica gestito internamente, il 73% ha un sito web, mentre il 61% utilizza un software o una piattaforma di gestione interna. Un altro 35% fornisce ai propri clienti una rete wi-fi, mentre il 28% gestisce un portale per il commercio elettronico. La salvaguardia dei dati e delle informazioni sensibili è un fattore critico, viste le recenti indicazioni in merito all’acquisizione, alla gestione, all’uso e all’archiviazione dei dati stessi. Per questo motivo, il 49% delle PMI ritiene di doversi impegnare di più nel settore della sicurezza dei propri dati e del proprio business, mentre una quota leggermente superiore prevede di allocare risorse a questo scopo nel corso del 2023, con una spesa media di 4.800 per azienda, per un totale di oltre 470 milioni. Eppure soltanto il 50% ha già individuato un fornitore di servizi su cui fare affidamento. 

Nel prossimo triennio investimenti importanti in cybersecurity

“Il quadro che emerge dal sondaggio, condotto sulle imprese con dieci o più dipendenti e quindi, almeno sulla carta, più strutturate e di conseguenza più motivate a garantirsi un sistema di procedure e protezione dati adeguato, ci offre infatti una duplice lettura. Da una parte un quarto delle attività intervistate ammette di avere già avuto problemi, dall’altro, solo una su due ha deciso di investire per migliorare le proprie difese” dichiara Nico Gronchi, Vicepresidente vicario di Confesercenti. “Certo, le imprese a cui è stato somministrato il sondaggio rappresentano solo il 5% del totale delle attività economiche, e non sono certamente le uniche che vogliono investire nella sicurezza dei propri sistemi. È anzi presumibile che già quest’anno almeno il 10% delle rimanenti imprese – oltre 420mila attività – investirà in cybersecurity. Prendendo come riferimento il triennio 2023-2025, possiamo stimare che le imprese nel loro complesso saranno ‘costrette’ a sostenere spese per la sicurezza informatica per circa 10 miliardi”.

Ragazzi e genitori nel mondo digitale, cosa può far paura?

Nonostante l’utilizzo quotidiano dei device, non sempre i giovani utenti sono totalmente consapevoli di come evitare i pericoli, controllarli o segnalarli. Per avere uno spaccato delle percezioni dei giovani tra i 12 e i 18 anni e dei loro genitori, sul rapporto con il mondo digitale, arriva una nuova ricerca. “Tra realtà e Metaverso. Adolescenti e genitori nel mondo digitale” è stata realizzata da BVA DoxaKids, per Telefono Azzurro e presentata all’Università Cattolica del Sacro Cuore in occasione del Safer Internet Day.

Preoccupazioni in aumento

In generale il report registra un aumento delle preoccupazioni, condivise da genitori e adolescenti, circa gli effetti negativi che possono scaturire da un’esposizione eccessiva agli schermi digitali dei giovanissimi. E nonostante l’utilizzo quotidiano dei devices, non sempre i giovani utenti sono totalmente consapevoli di come evitare i pericoli, controllarli o segnalarli.

Cosa spaventa di più

Il 65% dei ragazzi intervistati teme di essere contattato da estranei adulti (percentuale che si alza al 70% se si prendono in esame solamente le ragazze e i più piccoli, dai 12 ai 14 anni). Seguono il bullismo (57%), oversharing di dati personali (54%), la visione di contenuti violenti (53%) o sessualmente espliciti (45%), l’invio di contenuti di cui ci si potrebbe pentire (36%), le spese eccessive (19%), il gioco d’azzardo (14%). A quasi 1 ragazzo su 2 (48%, 53% nel caso di ragazzi 15-18 anni) è capitato di incappare in contenuti poco appropriati e nel 25% i contenuti apparsi li hanno turbati e impressionati. Nel 68% dei casi i contenuti più diffusi sono quelli violenti, seguiti immediatamente da quelli pornografici (59%) e sessualmente espliciti (59%), dai contenuti discriminatori e razzisti (48%), da quelli riguardanti il suicidio e l’autolesionismo (40%) o inneggianti l’anoressia e la bulimia (30%), ma anche il gioco d’azzardo (27%).

Ansia da social?

I contenuti fruiti sui social potrebbero suscitare sentimenti negativi. Più di 1 ra- gazzo su 2 (53%) riferisce di aver provato sentimenti spiacevoli, come l’invidia per la vita degli altri (24%, soprattutto i 15- 18enni). Il 21% afferma che è capitato di sentirsi inadeguato, il 18% diverso, il 10% omologato. La restante parte prova solitudine (12%) o rabbia per le vite degli altri (9%).

I genitori sono un punto di riferimento

I genitori risultano essere un punto di riferimento per i figli, nel caso di eventi spiacevoli accaduti online. Il 19% riporta di aver accolto le confidenze dei propri figli in passato, mentre il 49% ritiene che i propri figli ne parlerebbero in famiglia, anche se per il momento non sono ancora avvenuti episodi di questo tipo.

Consumi green: gli italiani e le abitudini sostenibili 

A quanto emerge dalla ricerca ‘Agos Insights. I nuovi consumi sostenibili’, realizzata da Agos in collaborazione con Eumetra, l’attenzione alla sostenibilità è un tema sentito da circa il 90% degli italiani, ma non sempre risulta attuabile nel quotidiano. Insomma, se gli italiani sono sempre più attenti alla sostenibilità spesso è difficile metterla in pratica con azioni concrete. Un freno è rappresentato dal fatto che comportarsi in modo autenticamente sostenibile ha spesso un costo significativo. La transizione energetica, ad esempio, è più facile all’interno delle proprie abitazioni, perché, in questo caso, la sostenibilità è collegata a una riduzione delle spese. Il 71% ha infatti modificato i propri comportamenti in casa e il 69% ha adattato le proprie abitudini ai fini di un maggior risparmio energetico. 

Classe energetica, questa sconosciuta

Gli italiani sembrano infatti essere molto interessati alle potenzialità di un miglioramento della classe energetica di casa (90%) e degli elettrodomestici (94%). Eppure, se la maggioranza conosce la classificazione energetica con le lettere dalla A alla G (84%), non sono altrettanti quelli che si rendono conto dell’impatto dell’utilizzo degli elettrodomestici in bolletta (solo il 38% ne è consapevole) o sono a conoscenza della classe energetica del proprio immobile (51%). Proprio per questo emerge una forte richiesta di consulenza da parte di aziende e rivenditori (82%), che dovrebbero aiutare a districarsi nel dedalo delle differenze e far capire meglio i vantaggi di una soluzione green.

Mobilità e acquisti: difficile modificare i comportamenti

Se l’impegno a modificare le abitudini di comportamento e consumo in casa è diffuso, sembra più difficile modificarle sul versante della mobilità: solo il 15% ha individuato soluzioni più green per spostarsi, e il 31% nell’ambito degli acquisti. Le generazioni più in difficoltà sono quelle di mezzo (da 30 a 50 anni), alle prese con spese per la casa e i figli e stipendi che non sempre consentono di seguire i comportamenti più virtuosi. Apparentemente contradditoria sembra la GenerazioneZ che a parole non dà particolare importanza al tema, ma che risulta essere la più attiva nel cercare di comportarsi in modo rispettoso.

Idealisti, concreti, impossibilitati o indolenti?

L’economia circolare emerge come modo per essere sostenibili, apprezzata dal 78% degli italiani e utilizzata quasi dalla stessa percentuale (77%). In particolare dai più giovani, che la considerano una modalità di acquisto al pari delle altre. L’analisi ha poi delineato 4 grandi tipologie di italiani con diversi atteggiamenti verso la sostenibilità, in base soprattutto al grado di attenzione e importanza attribuita al tema. Si va dagli Idealisti (31%) ai Concreti (32%), e dagli Impossibilitati (21%) agli Indolenti (16%). Questi ultimi ritengono importante il tema della sostenibilità, ma hanno poca voglia di impegnarsi in prima persona. Sono infatti disponibili a spendere di più e utilizzare le proprie risorse per iniziative a favore della sostenibilità, ma non a cambiare i propri comportamenti.

Pmi del settore Food: perchè vincere la sfida della digitalizzazione?

Spinte dalla necessità di continuare a svolgere i processi aziendali durante la crisi sanitaria causata dalla pandemia, il 28,7% delle Pmi italiane che operano nel settore food ha attuato processi di digitalizzazione delle pratiche aziendali. Per il 49,2% delle imprese le sfide maggiori del prossimo futuro riguardano la diminuzione della domanda causata dall’inflazione, e i costi dell’energia e delle materie prime della food chain. Per il 35,6% riguardano invece gli ostacoli burocratici posti al settore.
Secondo un’indagine condotta da Glovo, tra gli elementi sfidanti vengono riconosciute alcune questioni attinenti la carenza di personale competente (27,7%), la difficoltà nel raggiungere nuovi clienti (18,8%) e la differenziazione dei prodotti per ottenere quote maggiori di mercato (18,5%).

La chiave del successo

Tra i fattori riconosciuti fondamentali per mantenere una competitività elevata il più importante è il capitale umano. Per il 73,6% delle aziende la chiave del successo è una forza lavoro adeguata, e per il 48,5% dev’essere più diversificata possibile. È importante anche una migliore capacità di comprendere il mercato (56,8%), così come comprendere le esigenze della clientela (62,7%). Per quanto riguarda le prospettive a medio-lungo termine, le aziende della food chain individuano tra gli elementi imprescindibili per la crescita, il lavoro agile (32%), l’aumento degli investimenti (31,7%), diversificazione di prodotti e servizi (31%), e capacità di rispondere in maniera adeguata all’aumento della domanda (27,7%). Ma il 23,8% delle aziende non ritiene che attualmente esistano margini di crescita per la propria attività.

Innovare è davvero utile?

Per preparare l’azienda alle sfide del futuro gli imprenditori ritengono importante incrementare l’ascolto e il coinvolgimento della clientela (46,9%), ma anche diventare più resilienti alle crisi (32,3%). Solo il 20,5% ritiene di dover digitalizzare di più l’azienda, ottimizzando i metodi di consegna (15,2%) o innovando maggiormente i servizi (8,9%), ma per il 25,4% non c’è nulla da fare per potersi preparare alle sfide del futuro. Quanto alla competizione con le grandi catene che operano nel settore alimentare le imprese riconoscono nei prezzi l’ostacolo più grande (50,5%), seguito dall’accesso alle risorse (31,4%) e la maggiore diffusione sul territorio (22,8%). Non vengono ritenuti particolarmente sfidanti gli elementi tipici delle grandi organizzazioni, come agilità (16,5%) e maggiore capacità logistica (7,9%).

Come accontentare i consumatori?

Per quanto riguarda l’analisi dei desideri dei consumatori, il 60,1% delle Pmi considera la varietà di scelta e la possibilità di personalizzazione le esigenze più importanti avvertite dai clienti. Al secondo posto le imprese riconoscono ai consumatori un’accresciuta sensibilità nei confronti della sostenibilità ambientale, per questo, il 51,5% delle aziende della food chain aumenterà la domanda di prodotti sostenibili. Per far fronte alle esigenze dei clienti le aziende ritengono necessario investire anche nella diversificazione dei prodotti (34,3%). Ma solo il 25,1% ritiene che la sostenibilità sia una leva strategica per affrontare le sfide attuali.