I giovani non vogliono stare in Italia, e continuano ad andarsene. Soprattutto i laureati, o chi ha elevati livelli di istruzione. Di fatto, il saldo migratorio verso l’estero ha raggiunto 50mila giovani nel Centro-Nord e 22mila nel Sud. Dal 2000 hanno lasciato il Mezzogiorno 2.015 mila residenti, di cui la metà giovani fino a 34 anni e quasi un quinto laureati. Ma da quanto emerge dal Rapporto Svimez 2019 il Nord Italia non è più tra le locomotive d’Europa. Alcune regioni dei nuovi Stati membri dell’Est superano per Pil molte regioni ricche italiane, avvantaggiate dalle asimmetrie nei regimi fiscali, nel costo del lavoro e in altri fattori che determinano ampi differenziali regionali di competitività.
Il Sud perderà 5 milioni di persone e quasi il 40% del Pil
Secondo il rapporto, per effetto della rottura dell’equilibrio demografico (bassa natalità, emigrazione di giovani, invecchiamento della popolazione) il Sud perderà 5 milioni di persone e, a condizioni date, quasi il 40% del Pil. Solo un incremento del tasso d’occupazione, soprattutto femminile, può spezzare questo circolo vizioso. Per la Svimez, quindi, bisogna tornare a una visione unitaria della stagnazione italiana, smarcandosi dalla lettura dell’aumento delle disuguaglianze esclusivamente legata al confine immutabile tra Nord e Sud, riporta Adnkronos. Per questo motivo vanno valorizzate le complementarità che legano il sistema produttivo e sociale delle due parti del Paese.
Si riapre il divario fra il Centro-Nord e il Mezzogiorno
Nell’ultimo decennio il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord è aumentato dal 19,6% al 21,6%. I posti di lavoro da creare per raggiungere i livelli del Centro-Nord sono quindi circa 3 milioni. Anche perché la crescita dell’occupazione nel primo semestre del 2019 riguarda solo il Centro-Nord (+137.000), cui si contrappone il calo nel Mezzogiorno (-27.000). Al Sud aumenta inoltre la precarietà, che si riduce nel Centro-Nord, e riprende a crescere il part-time (+1,2%), in particolare quello involontario, che nel Mezzogiorno si riavvicina all’80% a fronte del 58% nel Centro-Nord. Stando al rapporto, la riapertura del divario Centro-Nord Mezzogiorno riguarda anche i consumi (+0,2%), ancora al di sotto di -9 punti percentuali nei confronti del 2018, rispetto al Centro-Nord, dove crescono del +0,7%.
La vera sfida è un’attuazione ordinata del federalismo fiscale
Per colmare il deficit infrastrutturale, secondo la Svimez, le richieste di regionalismo differenziato vanno valutate nel contesto di un’attuazione organica e completa del nuovo Titolo V. Secondo Svimez, in quest’ottica il confronto sulla valorizzazione delle autonomie e la riduzione delle disuguaglianze va depurato dalle scorie rivendicazioniste provenienti da Nord e da Sud. E va riportato sui temi nazionali della qualità delle politiche di offerta dei servizi pubblici, e su quelle necessarie per la ripresa della crescita. La vera sfida, sottolinea l’associazione, è un’attuazione ordinata del federalismo fiscale. Una sfida basata sulla definizione dei costi standard e dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) al fine di assicurare pari diritti di cittadinanza, e un Fondo perequativo per colmare il deficit infrastrutturale.