La pandemia costa a ogni italiano 5.420 euro

Quanto è costata la pandemia agli italiani? Nel 2020 è costata mediamente 5.420 euro a testa, di cui 2.371 euro di minore Pil pro capite e i restanti 3.049 euro di incremento di debito. A rispondere è lo studio Il debito pubblico italiano e il Covid-19, realizzato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti, che ha misurato l’impatto dell’emergenza sull’economia italiana mettendola a confronto con quella dei Paesi del G20. Nell’analisi, condotta a partire dai più recenti dati del Fondo Monetario Internazionale, emerge infatti come il crollo del Pil reale per l’Italia, stimato per il 2020 al -9,2%, (-8,9% secondo gli ultimi dati Istat) sia il peggiore calo dopo l’Argentina (-10,4%) e il Regno Unito (-10%), mentre, a causa di un rimbalzo troppo corto nel 2021, l’Italia presenterebbe il calo del Pil maggiore nel biennio 2020-2021 (-6,5%).

Spesa pubblica aggiuntiva e sgravi fiscali raggiungono il 6,8% del Pil

Nel 2020, la spesa pubblica aggiuntiva e gli sgravi fiscali per far fronte alla pandemia hanno raggiunto il 6,8% del Pil, collocando l’Italia al nono posto nel G20. In termini pro-capite il sostegno statale è stato pari a 1.858 euro, molto meno che in Germania (4.414 euro), in Francia (2.677 euro), negli Stati Uniti (9.311 euro) o nel Regno Unito (5.752 euro). Considerando che nel 2020 la perdita media per ogni italiano del Pil è pari a 2.371 euro, il sostegno statale di 1.858 euro non è stato sufficiente a coprirla, generando una perdita di 513 euro pro-capite, mentre per la Francia il risultato è stato di -120 euro e per la Germania di +1.841 euro.

Debito pubblico pro-capite: nel 2020 arrivato a 3.049 euro

Per quanto riguarda il debito pubblico, l’anno scorso nel nostro Paese aumenta di 3.049 euro in termini pro-capite. Nel 2021 aumenta di altri 2.372 euro a testa, e nel biennio cresce in totale di 5.421 euro. Per effetto della pandemia, il debito pubblico italiano a livello pro-capite, e cioè per ogni italiano in media, passa quindi da 39.864 euro del 2019 a 42.913 euro del 2020. Nel G20 si colloca al terzo posto insieme al Canada e dopo Stati Uniti e Giappone e nel 2021 arriva a 45.285 euro, riporta Askanews.

Come evitare shock pericolosi per l’economia del Paese

“Le analisi e i dati presentati nella ricerca mettono in luce significativi profili di rischio per l’economia italiana – commenta Massimo Miani, presidente Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti -. È necessario promuovere politiche fiscali espansive maggiormente coerenti con la situazione di estrema difficoltà delle imprese e delle famiglie italiane e nello stesso tempo impiegare al meglio le risorse del Recovery Fund. Ma occorre anche ridiscutere, a livello europeo, le regole fiscali che governano la finanza pubblica – aggiunge Miani -. È assolutamente imprescindibile riconsiderare la sostenibilità del debito pubblico italiano alla luce delle mutate condizioni economiche post-pandemiche. Solo così si eviteranno shock pericolosi per l’economia del Paese che colpirebbero in modo sensibile la ricchezza degli italiani”.

Il 45% delle persone nel mondo vuole dimagrire

Il 45% delle persone in tutto il mondo attualmente sta cercando di perdere peso. Si tratta di una cifra che aumenta a due terzi (60%) in Cile e di oltre il 50% in Spagna, Perù, Arabia Saudita, Singapore e Stati Uniti. Ma quali sono le azioni e gli interventi principali da intraprendere per perdere peso secondo i cittadini del pianeta Prima di tutto, l’esercizio fisico, indicato a livello globale dal 52% come rimedio principale. E in Italia? Soltanto il 34% dei cittadini lo indica al primo posto. Si tratta di alcune evidenze rilevate da un sondaggio globale di Ipsos condotto in 30 Paesi per comprendere quali sono gli interventi ritenuti maggiormente rilevanti per la perdita di peso, gli alimenti da ridurre o eliminare, e il ruolo di aziende e Governi.

Azioni e interventi per la perdita di peso

Oltre all’esercizio fisico, gli intervistati indicano la dieta (44% a livello globale), che in Malesia sale al 63% e in Italia si abbassa al 37%. Poi l’alimentazione sana (52%), opinione maggiormente condivisa nei Paesi Bassi (70%), in Messico (68%) e in Cile (67%), mentre in Italia la percentuale è in linea con la media globale (53%). Segue il consumo di bevande zuccherate (38%, Italia 30%), e il consumo di alcool (15%), opinione che aumenta in Russia (26%), Gran Bretagna e Corea del Sud (25%), e Sud Africa (24%), mentre in Italia la percentuale è pari al 16%.

Quali cibi e bevande ridurre?

A livello globale, e anche italiano, è lo zucchero l’alimento nemico numero 1 della linea (62%), opinione che sale a oltre il 70% in Ungheria, Malesia, Polonia, Russia, Turchia e Sud Africa. Ridurre le calorie è considerata dal 41% delle persone un ulteriore strategia per la perdita di peso, un po’ meno in Italia (32%), seguita dall’eliminare i carboidrati (39%, Italia 49%), i grassi saturi (28% anche in Italia), e quelli insaturi (5%, 4% in Italia). Nella lista compare poi la carne, che a livello globale viene indicata da soltanto il 7% della popolazione e dal 6% degli italiani. 

Il ruolo di aziende e Governi

La convenienza economica degli alimenti salutari, sia a livello globale sia in Italia, viene indicata come fattore principale nel perdere peso dal 42% delle persone che sta cercando di dimagrire. A questa seguono la disponibilità di aree verdi e strutture pubbliche per poter svolgere attività fisica (22% anche in Italia), e l’accesso più facile a cibi salutari (17%), percentuale che aumenta a circa un terzo della popolazione in Argentina (36%) e Cile (30%), ma che in Italia diminuisce all’11%. 

Un’etichettatura degli alimenti più chiara, poi, è considerata un’iniziativa che può aiutare nella perdita di peso per il 13% delle persone a livello globale, e che aumenta al 23% in Germania.

L’anno del Covid visto da Facebook

Nell’Year in Review, la rassegna di avvenimenti, persone e temi che più di altri hanno mobilitato il mondo social il 2020 sarà ricordato per sempre come l’anno del Covid 19. E i social di questo ricordo sono stati un amplificatore. Così, tra l’affermarsi di nuovi modi di comunicare e lavorare si è assistito a un raddoppio dei flussi di chiamate durante il primo lockdown, attraverso le piattaforme di messaggistica come messenger e whatsapp. Solo ad aprile, poi, oltre 3 milioni di italiani hanno preso parte su Facebook a gruppi locali impegnati a offrire supporto durante l’emergenza.

Gli hashtag della solidarietà

Dai video dei mezzi dell’esercito che trasportavano le bare delle vittime di Coronavirus a Bergamo alle immagini spaesanti di Papa Francesco nella piazza deserta di San Pietro dello scorso 27 marzo, la fotografia scattata da Facebook di questo 2020 è il riflesso delle nostre vite cambiate dalla pandemia. L’hashtag Andrà tutto bene ha unito oltre 4 milioni di persone in tutto il mondo per dare sostegno all’Italia, soprattutto all’inizio della pandemia, seguito da espressioni come Io resto a casa e Musica che unisce, la maratona musicale che ha mobilitato molti artisti per la raccolta fondi a sostegno della Protezione Civile.

Una piazza virtuale per ricordare i nomi dei grandi che ci hanno lasciato

Il bisogno di sentirsi parte di una comunità, nonostante la necessità del distanziamento fisico, hanno animato gruppi di ogni natura come quello Uniti contro il virus, nato per permettere alle persone di confrontarsi e scambiare idee e i flash mob Italy applaudiamo l’Italia. Nell’anno della pandemia, Facebook è stata anche la piazza per ricordare i nomi delle grandi personalità che ci hanno lasciato da Ennio Morricone a Ezio Bosso, da Jarabe de Palo a Kobe Bryant passando per Luis Sepulveda e Kim Ki-duk, riporta Askanews.

Gli eventi e i live streaming sui social

All’emergenza sanitaria è legato, in qualche modo, uno degli eventi più discussi su Facebook come il concerto di Andrea Bocelli in una piazza del Duomo deserta a Milano nella domenica di Pasqua. Ma ha trovato spazio anche il movimento Black Lives Matter che, nelle tre settimane successive alla morte di George Floyd, ha visto triplicare le conversazioni su questo topic in tutto il mondo, con una media di 7,5 milioni di menzioni su Facebook ogni giorno. In Italia, il tema è stato altrettanto sentito e proprio sulla piattaforma sono nate alcune manifestazioni come I can’t breathe protesta pacifica a Roma. Le restrizioni imposte dalla Covid 19, infine, hanno fatto schizzare come non mai anche la partecipazione, nel corso della settimana festiva di Pasqua, ai live streaming dalle pagine spirituali.

Italia, prima in Europa nel design con 34mila imprese

L’Italia e il design sono un binomio indissolubile, da sempre. Confermato anche dai numeri: nel nostro paese ci sono quasi 34mila imprese del settore, che collocano lo Stivale saldamente al primo posto della classifica del design europeo. Un peso pari al 15,5% che ci mette sul podio, davanti a Germania e Francia. I dati sono emersi dal report “Design Economy 2020”, realizzato da Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.design, da quest’anno con il supporto di Adi, Cuid e Comieco e il patrocinio del ministero degli Affari esteri. Complessivamente, il comparto in Italia dà lavoro a 64.551 persone con un valore aggiunto superiore a 3 miliardi di euro.

Vendite sul podio, ma sul terzo gradino

Eppure, nonostante questi numeri, Germania e Regno Unito segnano un livello di occupazione e un volume d’affari superiori a quelli italiani. La nostra “colpa”? Probabilmente la grande frammentazione della struttura imprenditoriale nazionale. Quest’ultimo fattore spiega come mai il complesso dei Paesi UE registra un volume di vendite pari a 27,5 miliardi di euro, e l’Italia ne alimenta da sola il 14,8%, in terza posizione dietro al Regno Unito (24,5%) e alla Germania (16,4%), ma largamente davanti a Francia (9,2%) e Spagna (4,6%). I settori industriali italiani che fanno maggiore ricorso al design sono: legno arredo, abbigliamento e automotive. Per quanto riguarda la dimensione delle imprese del comparto, si tratta in gran parte di piccole realtà: liberi professionisti e microimprese (meno di 100mila euro di fatturato) incidono ancora per oltre la metà dell’occupazione (53,4%), mentre le imprese con fatturato superiore a 5 milioni di euro hanno un’incidenza occupazionale dell’8,4%.

Milano capitale del Design

La principale capitale del design italiano è Milano: il capoluogo lombardo è capace di concentrare il 18,3% dell’output totale del settore sul territorio nazionale, mentre Torino e Roma, rispettivamente seconda e terza, incidono per l’8,0% e per il 5,3%. Anche sul fronte occupazione Milano conta circa il 14% del totale degli addetti. Il primato di Milano non è casuale: qui hanno sede due delle più importanti collezioni del design al mondo, quella della Triennale di Milano e quella del Museo del Compasso d’oro promosso dall’ADI, che verrà inaugurata entro il 2020. Milano è anche sede dal 1961 del Salone del Mobile e del Fuorisalone, una delle più grandi manifestazioni al mondo dedicate al design. In seconda posizione figura Torino, che nel 2014 ha ricevuto dall’Unesco la nomina di Città creativa per il Design e che ospita grandi nomi del design dell’automobile, mentre cresce l’interesse di Roma soprattutto per quanto riguarda la moda.

Telecomunicazioni, nel 2019 calano i ricavi ma non gli investimenti

Nel 2019 i ricavi per il settore delle telecomunicazioni scendono a 26,8 miliardi, il valore più basso degli ultimi 10 anni.  A fronte di aumenti del 50% all’anno dei volumi di traffico dati mobili, e del 25% del traffico dati fisso, il contesto iper-competitivo ha comportato la continua riduzione dei prezzi, e di conseguenza, dei ricavi, ulteriormente ridotti di 1 miliardo di euro. Al contrario, la competizione sui servizi ha trainato l’incremento degli investimenti, in crescita dal 2013, nella costruzione delle reti a banda larga e ultra-larga, radio e in fibra. Lo afferma il rapporto sulla Filiera delle Telecomunicazioni in Italia presentato a Roma da Asstel-Assotelecomunicazioni e le organizzazioni sindacali Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil.

L’anno scorso gli investimenti fissi hanno raggiunto l’incidenza del 25%

Nel 2019 gli investimenti fissi di 7,6 miliardi di euro, di cui oltre 300 milioni di oneri per le frequenze, hanno raggiunto l’incidenza record del 25% sul fatturato totale del settore, spinti dall’espansione delle reti 4G, dall’avvio delle reti 5G e dalla crescita degli accessi alle reti VHCN con prestazioni oltre 100 Mbps.

Questi ultimi hanno raggiunto il numero di 7,1 milioni, pari al 40,5% del totale degli accessi, cresciuti del +37% rispetto al 2019, quando erano 5,2 milioni, riporta Ansa.

Collaborazione tra pubblico e privato e sostegno finanziario alla domanda

“Oggi nelle telecomunicazioni le quattro sfide a cui dare risposta sono molto chiare”, ha sottolineato il presidente di Asstel, Pietro Guindani.

La prima delle quattro sfide è la collaborazione tra il settore pubblico e quello privato per lo sviluppo di nuovi servizi “intelligenti”, in grado di far tornare a crescere il valore del mercato. La seconda, ha spiegato ancora Guindani, “è il sostegno finanziario alla domanda per stimolare l’adozione dei servizi in maniera accelerata”, e in questo modo poter recuperare il ritardo accumulato rispetto ai Paesi nostri competitor.

“Il Recovery Fund è lo strumento da mobilitare”

Una terza sfida riguarda la sostenibilità degli investimenti nelle infrastrutture, un “prerequisito per la competitività, non solo delle imprese di telecomunicazioni, ma del Paese in generale”, ha commentato il presidente di Asstel. Non ultimo, lo sviluppo delle competenze digitali, “dei nostri lavoratori e di tutta la popolazione italiana che risulta essere ultima tra i 28 paesi dell’Unione Europea – ha aggiunto Guindani -. Il Recovery Fund è lo strumento da mobilitare per affrontare e dare soluzione alle esigenze di investimento nelle infrastrutture e nelle competenze digitali”.

I costi delle tariffe pre e post Covid

Come sono cambiate le principali voci di spesa domestica prima e dopo l’emergenza Covid? Alcune spese, come RC auto, tasso dei mutui, bollette di luce e gas sono diminuite, mentre altre, come i tassi dei prestiti e il costo della telefonia fissa sono aumentate. Altre ancora, invece, come i costi per la telefonia mobile e quelli dei conti correnti sono rimasti invariati. Lo ha scoperto Facile.it, che ha confrontato i prezzi offerti dagli operatori a gennaio e a giugno 2020.
Mutui, prestiti e conti correnti
I tassi dei mutui sono rimasti estremamente bassi per tutto il primo semestre dell’anno. Secondo la ricerca il miglior tasso (Taeg) disponibile a giugno 2020 era pari a 0,95%, il 22% in meno rispetto a gennaio 2020 (1,22%). Il settore dei prestiti personali invece ha risentito sia del lockdown sia del peggioramento delle condizioni lavorative degli italiani. Considerando un prestito da 10.000 euro da restituire in 5 anni, il Taeg medio disponibile online è passato dal 6,25% di gennaio al 6,63% di giugno (+6,1%), con un aumento di circa 90 euro in più di interessi per tutta la durata del finanziamento. Per quanto riguarda i correnti invece non emergono differenze dal punto di vista dei costi fissi o variabili rispetto alle offerte rilevate a inizio anno.
Telefonia, Internet, luce e gas
Per le tariffe di telefonia mobile non sono stati rilevati cambiamenti significativi. A giugno la tariffa media mensile per una nuova sim era pari a 13 euro, valore in linea con quello rilevato a inizio anno. Sul fronte delle tariffe di Internet Casa, invece, si evidenzia un lieve aumento del costo delle offerte. Il canone mensile a giugno è aumentato del 4,6% arrivando in media a 28,94 euro.

Per le tariffe luce e gas del mercato libero i prezzi offerti ai consumatori sono mediamente calati. A gennaio si spendevano, in media, 45,26 euro al mese per la luce, mentre a partire da luglio, a parità di consumi, la bolletta è diminuita del 3%. Calo ancor più consistente per il gas, dove la spesa media mensile è diminuita del 4,4%.

Rc auto e noleggio a lungo termine

Durante il lockdown le tariffe assicurative sono diminuite sensibilmente, registrando tra marzo e aprile valori ai minimi storici. Un trend che si è invertito a partire da maggio, anche se i prezzi non sono ancora arrivati ai livelli pre Covid: per assicurare un veicolo a quattro ruote a giugno occorrevano in media 531,32 euro, quasi l’1% in meno rispetto a gennaio. Il settore del noleggio a lungo termine rivolti ai privati, pesantemente colpito dal lockdown, si è adattato al nuovo scenario. Se dal punto di vista del canone non sono state riscontrate variazioni, per far fronte alla scarsa liquidità da parte delle famiglie alcune società hanno potenziato le offerte di veicoli ad anticipo zero. E hanno iniziato a valutare con più flessibilità la possibilità di sospendere i contratti in corso o disdire gli ordini.

Come sarà il futuro dopo il Covid-19 secondo gli italiani

“Immagina di svegliarti domani mattina e di scoprire che a fronte di nuovi dati sull’emergenza in corso è stato deciso di avviare una nuova fase, con cambiamenti e con l’introduzione di nuove norme. Prova a descrivere quello che succederà durante questa nuova fase, racconta nel dettaglio in che modo cambierà la quotidianità e cosa accadrà nel concreto rispetto alla fase attuale”.

Questa è la domanda posta agli italiani in un approfondimento del tracking BVA Doxa su come sarò il futuro post coronavirus. E da una parte c’è chi si concentra sugli aspetti più pratici relativi al ritorno alla normalità, dall’altra c’è chi guarda all’ipotetica nuova normalità con speranza o timore.  

Imparare una nuova vita

Più in particolare, l’indagine rileva che tra gli italiani si affermano due macro tendenze. Da una parte, che corrisponde al 54% degli intervistati, ci si focalizza maggiormente sul lato pratico e sulle modalità di progressivo riavvicinamento alla vita e alle attività di tutti i giorni, mentre dall’altra, pari al 46% , l’attenzione è rivolta all’evoluzione dell’emergenza stessa, ipotizzando esiti sia positivi sia negativi.

Il 54% degli italiani che proiettano un immaginario più concreto e pratico nella convivenza con il virus  stato suddiviso ulteriormente in due cluster. Il primo, corrispondente al 28% degli intervistati e denominato How to…, riunisce coloro che rivolgono la propria attenzione a come, per poter ripartire, dovranno cambiare tutte le attività lavorative e pratiche nella nuova normalità post Covid-19.

Concentrarsi sulle norme per tornare a una situazione di maggior libertà

In questo caso, dunque, ci si focalizza su come muterà la propria vita da lavoratori e da consumatori, con la messa in pratica di comportamenti ai quali ci si è già abituati nelle fasi precedenti. Nel secondo cluster, denominato Caring in sharing, composto dal 26% degli italiani, ci si concentra su tutte le norme che dovranno essere seguite per poter tornare a una situazione di maggior libertà. Il distanziamento fisico insieme a mascherine e guanti continueranno a essere protagonisti del prossimo futuro, così come i divieti di assembramento in strada e negli spazi chiusi.

Incubo o speranza? Pessimisti e ottimisti

la ricerca ha suddiviso in due cluster anche il restante 46% di intervistati, che invece rende un’interpretazione più emotiva della normalità che verrà. Il primo gruppo, pari al 25% e denominato Over the rainbow, descrive l’evoluzione dell’emergenza Covid-19 con speranza, ipotizzando il ritorno a una piena normalità in cui si potrà fare tutto quanto si faceva prima del lockdown. L’ottimismo di questo cluster è tale da poter pensare alle vacanze e ai programmi per la prossima estate. Di segno opposto sono invece le emozioni descritte dal restante 21%, il cluster White flag, black future.

Secondo questo gruppo di italiani, gli sforzi fatti fino a ora non saranno sufficienti, la situazione tornerà a peggiorare e sarà necessaria l’adozione di misure restrittive ancora più severe di quelle messe in atto durante la fase 1.

La produzione italiana a marzo crolla del -28,4%

Nel mese di marzo 2020 la produzione industriale italiana ha segnato un crollo senza precedenti, tutti i principali settori produttivi hanno registrato variazioni tendenziali negative. Secondo le stime dell’Istat nel mese di marzo l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito del 28,4% rispetto a febbraio, mentre nel primo trimestre dell’anno il livello della produzione è sceso dell’8,4% rispetto ai tre mesi precedenti. Rispetto a marzo dell’anno precedente, poi, l’indice è diminuito per più del 29%. Tutti i principali settori di attività economica, sottolinea l’Istat, registrano flessioni sia tendenziali sia congiunturali, in molti casi di intensità inedite. Nella fabbricazione di mezzi di trasporto e nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori, ad esempio, la caduta congiunturale e tendenziale supera ampiamente il 50%.

Senza precedenti la caduta in termini mensili dell’indice destagionalizzato

A quanto afferma l’Istat è “senza precedenti anche la caduta in termini mensili dell’indice destagionalizzato”. A marzo infatti le condizioni della domanda e le misure di contenimento dell’epidemia di Covid-19 hanno determinato un crollo di tutta la produzione industriale italiana. Rispetto a marzo del 2019 l’indice corretto per gli effetti di calendario (ovvero 22 giorni contro 21 dello scorso anno), è diminuito del 29,3%  Ma la riduzione tendenziale secondo l’Istat risulta essere anche la maggiore della serie storica disponibile a partire dal 1990, e supera i valori registrati nel corso della crisi del 2008-2009.

La fabbricazione dei mezzi di trasporto è il settore più colpito

Se tutti i principali settori hanno registrato variazioni tendenziali negative le più rilevanti sono state quelle della fabbricazione di mezzi di trasporto, che hanno subito un arresto pari al -52,6%, le industrie tessili e l’abbigliamento, che sono calate del -51,2%, la fabbricazione di macchinari (-40,1%), e la metallurgia e la fabbricazione di prodotti in metallo (-37%). Il calo minore è stato registrato nelle industrie alimentari, bevande e tabacco, diminuite “solo” del -6,5%.

Essenziale l’afflusso di credito alle imprese con misure di sostegno a fondo perduto

Relativamente meno accentuato è infatti il calo nelle industrie alimentari, bevande e tabacco, che considerando la media degli ultimi tre mesi hanno mantenuto una dinamica tendenziale positiva, riporta Ansa.

“Riavviare l’economia è fondamentale nella seconda parte del 2020 e 2021 – ha commentato il direttore generale di Bankitalia Daniele Franco, intervistato nel corso dell’evento L’Italia genera futuro del Corriere della Sera -. È essenziale che il credito affluisca alle imprese e che vengano adottate misure di sostegno a fondo perduto e per rafforzare il capitale”.  

Covid-19, per il 75% delle aziende impatto rilevante

Per il 75% dei manager e delle aziende italiane l’emergenza Coronavirus sta avendo un impatto rilevante. L’84% di loro ha annullato tutti i viaggi e le occasioni di lavoro che richiedono la presenza fisica (65%), e il 70% ha adottato lo smart working per tutti i lavoratori per cui è possibile, mentre il 23% ha chiuso spesso al pubblico. A fronte di un allentamento del blocco nel giro di 15-20 giorni il 75% dei manager vede un calo del fatturato, in particolare, il 38% del 5-10%, il 23% del 15-20%, e il 14% oltre il 30%. Emerge dall’indagine di AstraRicerche per Manageritalia, che dal 5 al 9 marzo ha raccolto l’opinione di 1.452 manager, un campione rappresentativo dei 25 mila dirigenti e 8.500 aziende del terziario privato.

L’andamento dell’economia a un anno è valutato come negativo

Secondo l’indagine, l’andamento dell’economia a un anno è valutato negativo per quella italiana (86%, 48% molto negativo), europea (77%, molto 16%) e globale (70%, molto negativo 11%). Per quanto riguarda l’andamento del proprio settore, questo è valutato negativamente per il 52% degli intervistati (molto negativo, 12%) e quello della propria azienda dal 45% (molto 7%).

Per reagire i manager puntano soprattutto su misure espansive, come sostegno alle vendite (46%), azioni di marketing (38%), sconti/promozioni (22%), riconsiderazione della strategia, con revisione di alcuni aspetti della catena del valore (36%) e della logistica (26%). E anche solo momentaneamente, del modello di business (25%), con una riconsiderazione dei mercati su cui puntare di più.

Opportunità di ampliare lo smart working una volta finita la crisi

Non mancano, anche se minoritarie, le misure restrittive. Si ipotizza infatti di intervenire sul personale bloccando le assunzioni (27%), e nel 22% dei casi interrompendo, anche solo momentaneamente, rapporti di lavoro a tempo determinato (20%) e a tempo indeterminato (7%). Il telelavoro è stato adottato da tante aziende (84%), anche se non per tutti i lavoratori. In molti casi (38%) ha riguardato anche persone che non lo avevano mai fatto prima. Solo nel 16% delle aziende non lo si è potuto fare, anche solo parzialmente. E tanti sono i manager che intravedono, una volta finita la crisi, l’opportunità di ampliarlo passando a un “vero” smart working.

Richieste misure eccezionali per favorire la ripresa dell’attività 

I manager chiedono a Manageritalia un dialogo con Governo e politica per discutere misure eccezionali per favorire la ripresa dell’attività (72%). Per farlo chiedono di costruire insieme con Manageritalia una piattaforma di ipotesi di lavoro per superare la crisi (48%). Chiedono anche supporto per chi dovesse perdere il lavoro e ricollocarsi (46%). Anche a livello informativo (38%) e formativo (22%) per gestire e superare la crisi. Negativo invece il giudizio sui media, insufficienti per il 77% e sufficienti solo per il 23% degli intervistati, e sull’opposizione parlamentare, insufficiente per il 68% e sufficiente per il 25% (l’8% non giudica).

Dalla chirurgia ai filtri nei selfie il nostro volto va verso l’omologazione

Dalle possibilità della chirurgia estetica per appianare rughe, tirare su il mento, rimpolpare zigomi e labbra a quelle digitali applicate ai social, con i filtri sulle foto che correggono le imperfezioni e ci fanno più belli. Ma del nostro viso cosa resta? Se l’immagine è quella di volti perfetti, che correggono artificialmente i contorni reali, dove risiede la nostra autenticità? Siamo immersi in una cultura della perfezione, ma in un mondo di diversità. E i canoni di bellezza contemporanei, fortemente segnati dal conformismo, ci spingono verso l’omologazione dei tratti.

Una faccia artificiale per fermare lo scorrere del tempo

Nel presente delle relazioni digitali deviare da questi canoni comporta l’esclusione dai trend sociali. Fotoritocco massiccio sui social network e in pubblicità, influencer digitali indistinguibili da quelli reali, androidi dai tratti sempre più antropomorfi e potenziati da un’intelligenza artificiale sempre più raffinata. Fenomeni che hanno portato nella vita privata e sociale un incontro quotidiano e costante con facce artificiali. Facce molto diverse tra loro, ma accomunate da un obiettivo irraggiungibile, quello di fermare lo scorrere del tempo, riporta Ansa. Ma cosa comportano le trasformazioni in atto per le relazioni interpersonali e la società? Quale ricaduta hanno sulle nostre vite? La scomparsa del “vecchio” volto sarà senza conseguenze per la collettività?

La rimozione del vecchio, la robotica e l’autopercezione di sé

La rimozione del vecchio, sia come concetto sia come manifestazione concreta, e le conseguenti manipolazioni per far apparire eterno il presente, fa entrare in gioco anche l’antico sogno di creare nostri simili, esseri dotati di intelligenza, coscienza ed emozioni. Videografica, robotica, chirurgia, e fotoritocco dilagano. Ma cosa significano queste presenze artificiali per le relazioni interpersonali e per l’auto-percezione di sé? Quale ricaduta ha sulle nostre vite la manipolazione del volto, ciò che ci rende unici e che fa di noi delle persone? L’esperienza perturbante dell’Uncanny Valley, come provato dagli studi di robotica in Giappone, produce inquietudine in chi si trova di fronte a volti molto simili agli umani, ma che umani non sono, come androidi e creazioni della videografica.

Avviare una riflessione urgente sul tema dell’unicità del volto

In questione non c’è la libera scelta individuale, “ma il fatto che esperienze così complesse avvengano senza una consapevolezza diffusa – spiega Lorella Zanardo autrice del documentario Il Corpo delle donne -. Non si tratta pertanto di emettere giudizi, ma di avviare una riflessione urgente perché il volto umano è il luogo dove il senso di esistere si manifesta. Prenderne coscienza è quanto mai necessario”.

Per questo motivo, insieme a Cesare Cantù e in collaborazione con la Fondazione Il Lazzaretto, Lorella Zanardo è impegnata nel progetto Volto Manifesto, un progetto che si pone come obiettivo “stimolare una riflessione aperta sulla trasformazione del volto nell’era digitale – aggiunge l’esperta – invitando a un dialogo collettivo e condiviso sul tema dell’unicità del volto”, e del ruolo che riassume nelle relazioni umane e nella società.