Se da casa si lavora di più allora non è smart working

Il lavoro agile non è solo un modo per ridurre le possibilità di contagio, né una ‘scappatoia’ per evitare il green pass. È un metodo di lavoro che può portare vantaggi ad aziende e dipendenti, pensato non come risposta all’emergenza sanitaria, quanto a una modalità lavorativa per una quotidiana normalità.
“Il fatto che il lavoro agile assicuri dei vantaggi alle aziende come ai dipendenti è dimostrato dal fatto che tantissime aziende che hanno adottato lo smart working come risposta all’emergenza Covid-19 hanno dichiarato di voler continuare a usare questo metodo anche in futuro – spiega Carola Adami, co-fondatrice Adami & Associati -. A patto però di organizzare il lavoro a distanza in modo migliore rispetto a quanto fatto a marzo 2020”.

I difetti dello smart working di natura emergenziale

E in effetti di punti negativi, il cosiddetto smart working di natura emergenziale, ne ha avuti diversi. Non tanti da rinnegare l’utilità del lavoro a distanza in una situazione in cui l’alternativa era la chiusura di tante aziende, ma il metodo messo in campo durante la pandemia non è stato il migliore.
“Nella maggior parte dei casi – ribadisce Adami – non si è trattato veramente di smart working, quanto invece di lavoro da casa, senza quindi l’agilità che definisce il lavoro agile. Ci sono state aziende – aggiunge Adami – che hanno mostrato un livello di fiducia molto basso nei confronti dei dipendenti che lavoravano a distanza, nonché dipendenti che a loro volta hanno avuto difficoltà a mantenere le proprie performance lavorando nei propri spazi domestici”.

Nel 2020 si ha lavorato di più senza aumentare la produttività

“Lo spirito dello smart working è quello di lavorare con maggiore libertà a livello di orari e di luoghi, garantendo performance uguali o perfino migliori, laddove invece nel telelavoro adottato nel 2020 si è teso talvolta a lavorare di più, senza peraltro un parallelo aumento della produttività – evidenzia Adami -. Lo spettro di perdere il proprio lavoro nel bel mezzo di una crisi sanitaria, economica e sociale non piace ovviamente a nessuno, e da qui la disponibilità a lavorare qualche ora in più tutte le sere, da casa”.
A confermare questa tendenza è Bloomberg, il quale riporta che nei due anni di pandemia i dipendenti da casa hanno lavorato mediamente 2,5 ore in più rispetto a quanto fatto in precedenza.

Le cose devono cambiare

Se molte aziende continueranno ad adottare lo smart working sarà necessario organizzare alla perfezione questo ‘ibrido’ tra lavoro in sede e lavoro a distanza.
“Non ci sono dubbi – conferma Adami – le imprese devono organizzarsi per trasmettere fiducia ai dipendenti, per ridurre al minimo lo stress, e per creare momenti di condivisione. Diventa fondamentale fissare delle regole chiare, sottolineando l’importanza della disconnessione, e abbandonando una volta per tutte la cultura del cartellino: deve essere chiaro che a guidare lo smart working non è l’orario fisso, quanto invece la produttività dei lavoratori”.