Lombardia al primo posto per eco-investimenti e green jobs

I dati del XII rapporto GreenItaly lo confermano: la Lombardia è al primo posto in Italia per l’applicazione della Green economy.
Con 89.784 imprese che hanno investito in tecnologie green, la Lombardia è prima in classifica nella graduatoria regionale per numero assoluto di aziende sostenibili. Inoltre, la regione è al vertice anche della graduatoria regionale per lavori green, segnando il primato per numero di contratti stipulati a green jobs dalle imprese per il 2020, pari a 265.563. 
A livello provinciale è la città di Milano, con le sue 35.352 imprese green, la provincia più virtuosa della Lombardia, seguita da Varese, con 11.712 imprese, Monza, con 9.480, a Como, con 7.868, Bergamo (6.598), e Brescia (5.911).
La classifica delle province green prosegue con Pavia, con 2801 imprese, Mantova, con 2691, Lecco (2403), Cremona (1921), Sondrio (1383), e infine Lodi, con 1244 imprese.

Milano al primo posto anche a livello nazionale

Si tratta dei dati emersi dal focus Lombardia del dodicesimo rapporto GreenItaly, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere, con la collaborazione del Centro Studi Tagliacarne e con il patrocinio del ministero della Transizione Ecologica. Al rapporto hanno collaborato Conai, Novamont, Ecopneus, diverse organizzazioni e oltre 40 esperti. Secondo il rapporto, l’ottimo risultato della provincia di Milano è confermato anche su scala nazionale. Milano è infatti al primo posto anche in Italia nella graduatoria provinciale per numero di imprese green, riporta Adnkronos.

La Lombardia guida l’Italia nella transizione verde

Nel Rapporto GreenItaly si conferma un’accelerazione verso la green economy del sistema imprenditoriale italiano. “L’Italia che sperimenta in campo aperto un paradigma produttivo fatto di sostenibilità, innovazione, bellezza, cura e valorizzazione dell’ambiente, dei territori, delle comunità – dichiara Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola -. La Lombardia può essere alla guida di un’Italia che fa della transizione verde la chiave per costruire un’economia e una società più a misura d’uomo e per questo più forti e capaci di affrontare il futuro – aggiunge Realacci -. È questa la direzione indicata dall’Europa con il Next Generation Eu, alla base degli ingenti finanziamenti del Pnrr, per affrontare la pandemia e la crisi climatica”.

Green jobs: investire sulla formazione per abilitare le competenze

“Per proseguire con equilibrio nella transizione verde oggi è cruciale abilitare nelle persone le competenze richieste in ambito green jobs, investendo sulla formazione e sulla valorizzazione del capitale umano a partire dai più giovani – commenta Giovanni Fosti, presidente della Fondazione Cariplo -. La transizione verso un’economia che sia realmente sostenibile nel lungo periodo per la vita dell’ambiente e della società è un’urgenza non più rimandabile. Il nostro territorio ha sviluppato una grande attenzione condivisa sul tema dell’economia circolare, favorendo la creazione di importanti alleanze tra imprese, istituzioni e reti di comunità per la riduzione dello spreco e la valorizzazione delle risorse, che possono diventare strumenti di inclusione e contrasto alla disuguaglianza”. 

Fiducia, a dicembre aumenta per i consumatori ma diminuisce per le imprese

Sono due binari differenti quelli che vedono la fiducia dei consumatori italiani e quella espressa dalle imprese del nostro Paese. A decretare un sentiment nazionale diviso in due è l’Istat, nella consueta rilevazione del clima di fiducia questa volta riferita al mese di dicembre 2021. Più nel dettaglio, nell’ultimo mese del 2021 l’Istituto Nazionale di Statistica ha stimato un lieve aumento dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 117,5 a 117,7), mentre l’indice composito del clima di fiducia delle imprese flette da 114,8 a 113,1, anche se si mantiene su livelli decisamente elevati. In generale, le imprese esprimono un peggioramento delle aspettative sulla produzione nel manifatturiero, di quelle sugli ordini nei servizi e di quelle sull’occupazione presso l’impresa nelle costruzioni.

I cittadini sono più ottimisti per quanto riguarda la loro situazione personale

L’ incremento dell’indice di fiducia espresso dai consumatori, seppur di modesta entità, è dovuto essenzialmente ad un miglioramento del clima personale (da 110,0 a 110,4) e di quello corrente (da 115,2 a 115,6). Diverso invece il discorso per quanto riguarda lo scenario economico e le prospettive future, che appiano nel segno del pessimismo. Il clima economico e quello futuro sono, infatti, in leggero peggioramento (i relativi indici calano, rispettivamente, da 139,8 a 139,6 e da 121,0 a 120,8).

Imprese, indice di fiducia in calo ma non per quelle delle costruzioni e del commercio

Con riferimento alle imprese, l’indice di fiducia è in diminuzione nell’industria manifatturiera (da 115,9 a 115,2) e nei servizi di mercato (da 111,3 a 110,2) mentre aumenta nelle costruzioni (da 157,4 a 159,1) e nel commercio al dettaglio (da 106,8 a 107,4). Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura migliorano leggermente i giudizi sugli ordini mentre diminuisce l’ottimismo delle aspettative sulla produzione e le scorte sono giudicate in accumulo. Nei servizi di mercato, il calo dell’indice è determinato dalle aspettative sugli ordini che diminuiscono marcatamente soprattutto nel settore dei servizi turistici, che negli ultimi mesi hanno visto messa in difficoltà la loro attività dalla pandemia e da tutte le relative limitazioni.
Con riferimento al comparto delle costruzioni, un miglioramento dei giudizi sugli ordini si abbina ad aspettative sull’occupazione in peggioramento. Invece, nel commercio al dettaglio tutte le componenti si muovono in senso favorevole. Non resta che aspettare la prossima rilevazione, sperando che la situazione – specie quella pandemica – si possa assestare.

Consumi, in 2 anni sono stati persi quasi 4mila euro di spesa a famiglia

“Nonostante il recupero registrato durante il 2021, dall’inizio dell’emergenza sanitaria la crisi innescata dal Covid ha cancellato quasi 4mila euro di spesa a famiglia”: la stima è di Confesercenti, che definisce la pandemia “uno tsunami per i consumi”. 
Il dato calcolato da Confesercenti è la somma della riduzione dei consumi rispetto al livello pre-crisi registrata in media da ogni famiglia nel 2020, pari a -2.653 euro, e nel 2021 (-1.298 euro), per un totale di -3.951 euro. A livello territoriale, l’arretramento peggiore si registra in Toscana, con una perdita reale di 9.119 euro di spesa per nucleo familiare. A seguire, nella classifica delle regioni che hanno perso di più, il Molise (-5.903 euro a famiglia), il Piemonte (-5.724 euro) e la Basilicata (-5.491 euro). Ma perdite superiori ai 5mila euro per nucleo familiare si rilevano anche in Sardegna (-5.305 euro), Veneto (-5.117 euro) e Valle D’Aosta (-5.014).

La compressione dei consumi nelle regioni italiane

Una compressione dei consumi delle famiglie appena sotto la soglia dei 5mila euro si registra invece in Lombardia (-4.969 euro per nucleo) e Trentino Alto-Adige (-4.620 euro), mentre subiscono una perdita superiore ai 3mila euro Puglia (-3.951 euro), Emilia-Romagna (-3.776 euro), Marche (-3.413 euro) e Umbria (-3.338 euro). Sopra i 2mila euro è invece la riduzione di spesa stimata per Calabria (-2.796 euro a famiglia), Liguria (-2.676 euro), Campania (-2.626 euro) e Friuli-Venezia Giulia (-2.554 euro). Contengono invece le perdite, comunque sopra la soglia dei mille euro, Lazio (-1.568 euro a famiglia), Abruzzo (-1.402 euro) e Sicilia (-1.025).

Cosa pesa sul calo dei consumi?

Secondo Confesercenti, a pesare sul calo dei consumi sono diversi fattori. Innanzitutto, i lockdown e le restrizioni che hanno interessato il nostro Paese tra il 2020 e i primi sei mesi del 2021. Ma a incidere sono anche la riduzione dei redditi da lavoro, l’inflazione e l’incertezza, che porta le famiglie a mantenere un tasso di risparmio ancora superiore rispetto a quello dei periodi precedenti alla pandemia, riporta Askanews.

La riforma fiscale deve ‘liberare’ le risorse delle famiglie

“La pandemia ha avuto un impatto devastante sui consumi delle famiglie – commenta la presidente Confesercenti Patrizia De Luise -. Sommando i consumi persi nel 2020 e nel 2021, è come se le famiglie avessero perso due-tre mesi di entrate. Bisogna intervenire per accelerare il recupero, perché dai consumi interni dipende circa il 60% del nostro Pil. La via maestra è quella fiscale: la riforma del fisco, che inizierà proprio con la manovra di quest’anno, deve liberare il più possibile le risorse delle famiglie”.

L’importo dei mutui registra il valore più alto degli ultimi 10 anni

Da quanto emerge dall’analisi delle richieste di mutuo per l’acquisto di un’abitazione, registrate sul Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF, nel mese di ottobre 2021 si conferma una crescita ulteriore dell’importo medio (+6,8%), che con 142.345 euro tocca il valore più elevato degli ultimi 10 anni. La dinamica del comparto fa però segnare una flessione del -16% rispetto a ottobre 2020, un dato in linea con il trend del trimestre precedente. Questo, nonostante la costante crescita  delle istruttorie presentate dagli under 35 (+2,6%), che arrivano a piegare una quota record del 30% del totale.

Le richieste tra 100.000 e 150.000 euro sono la soluzione preferita dagli italiani

Nel complesso, le richieste tra 100.000 e 150.000 euro rappresentano la soluzione preferita dagli italiani (circa 30% del totale), un dato in linea con il corrispondente periodo del 2020. Al secondo posto (25,6%) permane la classe di importo tra 150.000 e 300.000 euro, mentre valori al di sotto dei 100.000 euro caratterizzano 4 richieste su 10. A ottobre si registra però una flessione generalizzata delle richieste da parte di tutte le fasce di richiedenti, a eccezione degli under 35, che registrano il dato più alto degli ultimi 10 anni. In particolare, la classe tra i 18 e i 24 anni è invece arrivata al 2,7% rispetto al 2,2% di un anno fa, e quella tra i 25 e i 24 anni al 27,3% (vs 25,2% di ottobre 2020). La classe di età che rappresenta la quota maggioritaria delle richieste di mutuo rimane comunque quella compresa tra i 35 e i 44 anni, con il 32,7%% del totale.

Maggiori richieste per una durata tra i 26 e i 30 anni

Dall’analisi della distribuzione delle richieste per durata si conferma il trend degli scorsi mesi, che vede la classe compresa tra i 26 e i 30 anni sempre più in cima alle preferenze delle famiglie, con il 27,6% del totale (+4,4%). Cresce anche la classe tra i 20 e i 25 anni (+1,1% vs 2020), che assorbe il 24,1% delle richieste totali. In generale, quasi 8 richieste su 10 presentano piani di rimborso superiori ai 15 anni, a conferma dell’atteggiamento tradizionalmente prudente delle famiglie italiane, che tendono a spalmare la restituzione del finanziamento su un orizzonte temporale sufficientemente lungo per ridurre quanto possibile il peso delle rate sul bilancio familiare.

Aumentano sia i prezzi degli immobili sia le compravendite

 “La ripresa delle compravendite e la crescita dei prezzi degli immobili testimoniano il ritrovato interesse da parte degli italiani per il progetto di investimento sulla casa – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF -. Questo si riflette, coerentemente, su un importo dei mutui richiesti in costante aumento, al punto da aver toccato a ottobre il valore più elevato degli ultimi 10 anni. Possiamo leggere questo dato come una positiva indicazione del livello di fiducia delle famiglie, che in questa fase di ripartenza dell’economia si sentono di poter prendere impegni di lungo termine con la certezza di riuscire a sostenere gli oneri finanziari senza eccessivi affanni”.

Over 60, più digitali dopo la pandemia

Gli ultrasessantenni italiani sono più digitali dopo la pandemia, e la maggioranza di loro ammette di utilizzare più agevolmente i dispositivi e le app rispetto all’inizio dell’emergenza sanitaria. Inoltre, i ‘nostri’ ultrasessantenni sono in testa a livello mondiale per quanto riguarda la digitalizzazione delle abitudini. I servizi più popolari? In questa fascia d’età sono videochiamate, shopping e streaming di film. Si tratta di alcune evidenze emerse dall’indagine internazionale condotta da Readly, il servizio di abbonamento digitale che consente l’accesso illimitato a circa 5000 riviste italiane e internazionali tramite un’unica app, in collaborazione con YouGov. L’indagine ha esplorato come sono cambiate le abitudini digitali degli over 60 nell’ultimo anno e mezzo, e cosa si aspettano gli ultrasessantenni quando la pandemia sarà finita.

Videochiamate, shopping online e visione di film in streaming

Insomma, il 60% degli italiani di oltre 60 anni di età conferma che il proprio stile di vita è diventato più digitale nei mesi di lockdown. Più in particolare, nell’ultimo anno e mezzo i ‘nostri’ ultrasessantenni si sono dedicati maggiormente a videochiamate (34%), allo shopping online (28%), alla visione di film in streaming (21%), e alla lettura di libri, riviste e quotidiani in digitale (19%).

Ultrasessantenni italiani al primo posto per digitalizzazione 

In questa fascia d’età, poi, il 63% degli intervistati ritiene che il proprio stile di vita continuerà a essere sempre più digitale anche dopo il Covid.
Se paragonate alle risposte degli intervistati in altri Paesi in cui si è svolta l’indagine, gli ultrasessantenni italiani sono di gran lunga coloro che nel corso della pandemia hanno maggiormente ‘digitalizzato’ le proprie abitudini, contro il 48% degli svedesi, il 44% dei britannici, il 40% degli olandesi, il 38% degli australiani, il 39% degli americani, e il 25% dei tedeschi.

E dopo la pandemia? Tornare a viaggiare, andare a cena fuori e ai concerti

“La pandemia ha portato con sé curiosità e conoscenza su come il mondo digitale può avvicinarci gli uni agli altri, ottimizzare il nostro benessere e facilitare la quotidianità – ha spiegato Marie Sophie Von BIbra, head of growth di Readly per l’Italia -. È molto bello vedere che anche chi è più avanti con l’età scopre le app di lettura come Readly, sia per l’intrattenimento sia per informarsi”. Ma cosa desiderano maggiormente gli Over 60 quando la pandemia sarà finita? Soprattutto uscire e viaggiare, riporta Ansa. La maggior parte degli italiani con più di 60 anni, il 43%, nel post-Covid si aspetta di poter tornare a viaggiare liberamente. Nelle preferenze seguono le cene con famiglia e amici (20%), la partecipazione a eventi, come concerti e manifestazioni sportive (14%), e poter incontrare parenti più anziani (4%).

Casa, Istat: nel I trimestre prezzi +1,1%

Ottime notizie per quanto riguarda uno dei settori più strategici dell’economia nazionale, l’immobiliare. Infatti l’Istat ha reso note le stime preliminari riferite all’indice dei prezzi delle abitazioni acquistate dalle famiglie, per fini abitativi o per investimento e i dati sono in tutto positivo. Non solo l’andamento è in crescita, confermando quindi la dinamicità del comparto e una voglia di casa che per gli italiani evidentemente non conosce crisi, ma segnando addirittura un record dal 2011 per quanto concerne i prezzi delle abitazioni nuove (+3,9%). Questi in dettaglio i principali dati: nel primo trimestre 2021 l’indice dei prezzi delle abitazioni acquistate dalle famiglie aumenta dell’1,1% rispetto al trimestre precedente e dell’1,7% nei confronti dello stesso periodo del 2020 (era +1,5% nel quarto trimestre 2020). 

Real estate, un comparto in salute

Evidentemente la crisi dovuta alla pandemia non fa paura agli investitori del real estate. Come conferma l’Istituto di Statistica, “Nonostante la persistenza dell’emergenza sanitaria, con i dati del primo trimestre 2021 si conferma il trend di crescita dei prezzi delle abitazioni avviatosi nel terzo trimestre 2019. I prezzi delle abitazioni nuove registrano un aumento la cui ampiezza non si vedeva dal secondo trimestre 2011 (quando fu pari a +4,1%) mentre le abitazioni esistenti mostrano prezzi in risalita per il quinto trimestre consecutivo. Le prime evidenze territoriali segnalano come la crescita riguardi tutte le articolazioni territoriali per le quali è calcolato l’Ipab”.

Aumentano sia i prezzi delle abitazioni nuove sia il numero di compravendite

L’aumento tendenziale dell’indice dei prezzi è da attribuire sia ai prezzi delle abitazioni nuove che crescono del 3,9%, in forte accelerazione rispetto al trimestre precedente (quando era +1,8%), sia ai prezzi delle abitazioni esistenti che aumentano dell’1,2% (rallentando lievemente da +1,3% del quarto trimestre 2020). Questi andamenti si manifestano in un contesto di forte aumento dei volumi di compravendita (+38,6% la variazione tendenziale registrata per il primo trimestre del 2021 dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate per il settore residenziale), influenzato, tuttavia, dal marcato ridimensionamento del numero di transazioni registrate nello stesso trimestre dello scorso anno a causa delle restrizioni introdotte a partire da marzo 2020 per contrastare la pandemia. I dati si confermano positivi anche su base congiunturale: l’aumento dell’indice (+1,1%) è dovuto sia ai prezzi delle abitazioni nuove che crescono dello 0,9% sia a quelli delle esistenti che aumentano dell’1,1%. Il tasso di variazione acquisito dell’Ipab per il 2021 è positivo e pari a +0,7%.

Il Pil cresce più del previsto

L’Istat ribalta le stime del 30 aprile, che indicavano un calo congiunturale dello 0,4% del Pil, calcolando per il periodo gennaio-marzo un aumento dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato. E la variazione acquisita del Pil italiano per il 2021, quella che si otterrebbe se nei trimestri successivi al primo si registrasse una crescita nulla, è pari al +2,6%. L’Istat ha rivisto poi anche la stima sul primo trimestre 2020, pari al -0,8% rispetto al -1,4% comunicato ad aprile.  Ad aprile 2021 il tasso di disoccupazione però sale al 10,7% (+0,3 punti), mentre tra i giovani scende al 33,7% (-0,2 punti).

In forte crescita le persone in cerca di lavoro, +48,3% rispetto ad aprile 2020

Secondo le stime, ad aprile 2021, rispetto ad aprile dell’anno scorso, le persone in cerca di lavoro risultano in “forte crescita”, ovvero pari a +870mila unità (+48,3%), a causa “dell’eccezionale crollo della disoccupazione che aveva caratterizzato l’inizio dell’emergenza sanitaria”, commenta l’Istituto”. D’altra parte, diminuiscono gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-6,3%, pari a -932mila unità), che ad aprile 2020 avevano registrato, invece, un forte aumento. Inoltre, ad aprile 2021, rispetto a marzo, si registra un lieve aumento degli occupati (+0,1%, pari a +20mila unità), mentre rispetto ad aprile 2020 si registra un calo del -0,8%, pari a -177mila unità.

Lieve crescita degli occupati su base mensile, ma solo per i dipendenti a termine

Sempre ad aprile, la lieve crescita degli occupati su base mensile è dovuta solamente ai dipendenti a termine, che risultano pari a +96mila (+3,5%), in quanto i dipendenti permanenti e gli autonomi diminuiscono dello 0,3% e dello 0,6% (rispettivamente, -47mila e -30mila). Nel confronto annuo, il calo degli occupati coinvolge gli indipendenti, che diminuiscono del 3,6% (-184mila) e i dipendenti permanenti, che diminuiscono dell’1,5% (-222mila). Crescono invece dell’8,9% (+229mila) i dipendenti a termine. Rispetto al mese di marzo, l’aumento del numero di persone in cerca di lavoro (+3,4%, pari a +88mila unità) riguarda entrambe le componenti di genere e tutte le classi di età.

Il tasso di occupazione sale al 56,9%

Nel confronto mensile diminuisce poi anche il numero di inattivi di 15-64 anni (-1,0%, pari a -138mila unità), e il tasso di occupazione sale al 56,9% (+0,1 punti), riporta Ansa. “Ad aprile prosegue la crescita dell’occupazione già registrata nei due mesi precedenti, portando a un incremento di oltre 120 mila occupati rispetto a gennaio 2021 – si legge in una nota dell’Istat -. L’aumento coinvolge entrambe le componenti di genere e si concentra tra i dipendenti a termine. Ciononostante, rispetto a febbraio 2020, mese precedente a quello di inizio della pandemia, gli occupati sono oltre 800 mila in meno e il tasso di occupazione è più basso di quasi 2 punti percentuali”.

Il 93% degli utenti acquista in base alle recensioni online

La sempre maggiore diffusione dei servizi di acquisto online, e il conseguente proliferare delle opinioni dei clienti, hanno fatto in modo che prima di acquistare un prodotto o servizio i potenziali acquirenti lo vogliano conoscere. Tanto che più del 90% degli utenti basa le proprie decisioni di acquisto proprio sulle recensioni online di prodotti o servizi. La conferma arriva dalle indagini condotte dal Centro Studi ReputationUP, gruppo internazionale con uffici in Europa, Nord e Sud America, specializzato nell’Online Reputation Management e Diritto all’Oblio. In base allo studio, considerando che il 93% dei consumatori basa le proprie scelte di acquisto sulle recensioni online, è di vitale importanza che le aziende imparino a evitare eventuali recensioni negative.

Come evitare le recensioni negative

Una cattiva recensione, falsa o negativa che sia, può però anche essere un’opportunità da sfruttare per far conoscere il proprio brand. Per questo, prima di eliminarla, è bene aprire un canale di comunicazione con il cliente. È fondamentale però proteggere la propria reputazione digitale, anche attraverso la gestione delle recensioni. E uno dei servizi di ReputationUP è infatti proprio quello di eliminare le recensioni e proteggere in caso di una possibile diffamazione online.

“Il successo o l’insuccesso di un’azienda è sempre dipeso dalle opinioni e dai giudizi che i suoi clienti esprimono in merito a un prodotto o servizio”, commenta Andrea Baggio, ceo Europa di ReputationUP.

La diffamazione online

Tuttavia, le recensioni negative possono sfociare nella diffamazione online. Si tratta di un vero e proprio reato, imputabile sia nel caso di recensioni false sia in quello di recensioni negative.

“Nel caso di un attacco reputazionale, ReputationUP offre servizi di protezione, con studi e ricerche periodiche che consentano di agire in maniera immediata sull’eliminazione e gestione del contenuto falso e negativo presente in rete”, aggiunge Juan Ricardo Palacio, ceo America di ReputationUP. Questi servizi si utilizzano soprattutto per contrastare i cosiddetti trolls, che scrivono opinioni con l’obiettivo di manipolare il mercato, in negativo oppure in positivo.

Danneggiare i competitor

Una ricerca della BBC ha smascherato il sistema delle recensioni negative su Amazon, affermando che “Il mercato di Amazon è preso d’assalto da venditori indipendenti che usano recensioni di una stella per danneggiare i loro competitor”.

In ogni caso, la migliore soluzione per contrastare le recensioni negative, e acquisire maggiori informazioni sull’immagine di un brand, è rivolgersi a professionisti, che possono aiutare a migliorare la reputazione online, si legge su ItaliaChiamaItalia.it.

La pandemia costa a ogni italiano 5.420 euro

Quanto è costata la pandemia agli italiani? Nel 2020 è costata mediamente 5.420 euro a testa, di cui 2.371 euro di minore Pil pro capite e i restanti 3.049 euro di incremento di debito. A rispondere è lo studio Il debito pubblico italiano e il Covid-19, realizzato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti, che ha misurato l’impatto dell’emergenza sull’economia italiana mettendola a confronto con quella dei Paesi del G20. Nell’analisi, condotta a partire dai più recenti dati del Fondo Monetario Internazionale, emerge infatti come il crollo del Pil reale per l’Italia, stimato per il 2020 al -9,2%, (-8,9% secondo gli ultimi dati Istat) sia il peggiore calo dopo l’Argentina (-10,4%) e il Regno Unito (-10%), mentre, a causa di un rimbalzo troppo corto nel 2021, l’Italia presenterebbe il calo del Pil maggiore nel biennio 2020-2021 (-6,5%).

Spesa pubblica aggiuntiva e sgravi fiscali raggiungono il 6,8% del Pil

Nel 2020, la spesa pubblica aggiuntiva e gli sgravi fiscali per far fronte alla pandemia hanno raggiunto il 6,8% del Pil, collocando l’Italia al nono posto nel G20. In termini pro-capite il sostegno statale è stato pari a 1.858 euro, molto meno che in Germania (4.414 euro), in Francia (2.677 euro), negli Stati Uniti (9.311 euro) o nel Regno Unito (5.752 euro). Considerando che nel 2020 la perdita media per ogni italiano del Pil è pari a 2.371 euro, il sostegno statale di 1.858 euro non è stato sufficiente a coprirla, generando una perdita di 513 euro pro-capite, mentre per la Francia il risultato è stato di -120 euro e per la Germania di +1.841 euro.

Debito pubblico pro-capite: nel 2020 arrivato a 3.049 euro

Per quanto riguarda il debito pubblico, l’anno scorso nel nostro Paese aumenta di 3.049 euro in termini pro-capite. Nel 2021 aumenta di altri 2.372 euro a testa, e nel biennio cresce in totale di 5.421 euro. Per effetto della pandemia, il debito pubblico italiano a livello pro-capite, e cioè per ogni italiano in media, passa quindi da 39.864 euro del 2019 a 42.913 euro del 2020. Nel G20 si colloca al terzo posto insieme al Canada e dopo Stati Uniti e Giappone e nel 2021 arriva a 45.285 euro, riporta Askanews.

Come evitare shock pericolosi per l’economia del Paese

“Le analisi e i dati presentati nella ricerca mettono in luce significativi profili di rischio per l’economia italiana – commenta Massimo Miani, presidente Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti -. È necessario promuovere politiche fiscali espansive maggiormente coerenti con la situazione di estrema difficoltà delle imprese e delle famiglie italiane e nello stesso tempo impiegare al meglio le risorse del Recovery Fund. Ma occorre anche ridiscutere, a livello europeo, le regole fiscali che governano la finanza pubblica – aggiunge Miani -. È assolutamente imprescindibile riconsiderare la sostenibilità del debito pubblico italiano alla luce delle mutate condizioni economiche post-pandemiche. Solo così si eviteranno shock pericolosi per l’economia del Paese che colpirebbero in modo sensibile la ricchezza degli italiani”.

Il 45% delle persone nel mondo vuole dimagrire

Il 45% delle persone in tutto il mondo attualmente sta cercando di perdere peso. Si tratta di una cifra che aumenta a due terzi (60%) in Cile e di oltre il 50% in Spagna, Perù, Arabia Saudita, Singapore e Stati Uniti. Ma quali sono le azioni e gli interventi principali da intraprendere per perdere peso secondo i cittadini del pianeta Prima di tutto, l’esercizio fisico, indicato a livello globale dal 52% come rimedio principale. E in Italia? Soltanto il 34% dei cittadini lo indica al primo posto. Si tratta di alcune evidenze rilevate da un sondaggio globale di Ipsos condotto in 30 Paesi per comprendere quali sono gli interventi ritenuti maggiormente rilevanti per la perdita di peso, gli alimenti da ridurre o eliminare, e il ruolo di aziende e Governi.

Azioni e interventi per la perdita di peso

Oltre all’esercizio fisico, gli intervistati indicano la dieta (44% a livello globale), che in Malesia sale al 63% e in Italia si abbassa al 37%. Poi l’alimentazione sana (52%), opinione maggiormente condivisa nei Paesi Bassi (70%), in Messico (68%) e in Cile (67%), mentre in Italia la percentuale è in linea con la media globale (53%). Segue il consumo di bevande zuccherate (38%, Italia 30%), e il consumo di alcool (15%), opinione che aumenta in Russia (26%), Gran Bretagna e Corea del Sud (25%), e Sud Africa (24%), mentre in Italia la percentuale è pari al 16%.

Quali cibi e bevande ridurre?

A livello globale, e anche italiano, è lo zucchero l’alimento nemico numero 1 della linea (62%), opinione che sale a oltre il 70% in Ungheria, Malesia, Polonia, Russia, Turchia e Sud Africa. Ridurre le calorie è considerata dal 41% delle persone un ulteriore strategia per la perdita di peso, un po’ meno in Italia (32%), seguita dall’eliminare i carboidrati (39%, Italia 49%), i grassi saturi (28% anche in Italia), e quelli insaturi (5%, 4% in Italia). Nella lista compare poi la carne, che a livello globale viene indicata da soltanto il 7% della popolazione e dal 6% degli italiani. 

Il ruolo di aziende e Governi

La convenienza economica degli alimenti salutari, sia a livello globale sia in Italia, viene indicata come fattore principale nel perdere peso dal 42% delle persone che sta cercando di dimagrire. A questa seguono la disponibilità di aree verdi e strutture pubbliche per poter svolgere attività fisica (22% anche in Italia), e l’accesso più facile a cibi salutari (17%), percentuale che aumenta a circa un terzo della popolazione in Argentina (36%) e Cile (30%), ma che in Italia diminuisce all’11%. 

Un’etichettatura degli alimenti più chiara, poi, è considerata un’iniziativa che può aiutare nella perdita di peso per il 13% delle persone a livello globale, e che aumenta al 23% in Germania.