Certificazione energetica: online l’ultima versione del software dell’ENEA

Sul portale ENEA è possibile scaricare gratuitamente la nuova versione di DOCET, il software semplificato per la certificazione energetica degli edifici residenziali. L’applicativo, destinato agli addetti del settore edilizio, è realizzato da ENEA in collaborazione con Cnr – Istituto per le Tecnologie della Costruzione, ed è utilizzabile per immobili con superficie fino a 200 metri quadri non soggetti a ristrutturazioni importanti. DOCET certifica la prestazione e la classe energetica di un immobile, consentendo la redazione dell’attestato di prestazione energetica (APE). Inoltre, indica gli interventi migliorativi economicamente più convenienti.

Inseriti aggiornamenti prezzi e possibilità di personalizzare le descrizioni

La precedente versione di DOCET è stata utilizzata da oltre 300 mila utenti.
L’ultima versione mantiene le caratteristiche originarie dell’applicativo, che continua ad avvalersi di un metodo semplificato per eseguire valutazioni standard degli edifici con condizioni climatiche e comportamento dell’utenza standard. 
Tra le novità della nuova versione del software vi è la possibilità di personalizzare ulteriormente la descrizione dell’immobile. Ad esempio, tramite la richiesta di input aggiuntivi per migliorare la caratterizzazione delle ‘superfici trasparenti’ per il calcolo degli apporti solari.
Inoltre, nella nuova release sono stati aggiornati i costi unitari dei combustibili. “Data la variabilità dei prezzi energetici, si raccomanda in ogni caso un’attenta verifica da parte del tecnico certificatore”, spiega Carlo Romeo del Laboratorio ENEA di Efficienza energetica negli edifici e sviluppo urbano.

Riqualificazione impianti: un alert avvisa quando non conviene

Ulteriore elemento di novità è costituito da un alert che invita a modificare l’intervento di riqualificazione ipotizzato quando economicamente non conveniente. Il messaggio di avvertimento viene segnalato quando le azioni proposte, sia sull’involucro edilizio sia sui sistemi impiantistici, evidenzino tempi di ritorno non congrui.
“Ad esempio, quando c’è un rientro dell’investimento superiore alla vita utile degli elementi sostituiti”, spiega il ricercatore.
Il calcolo della prestazione energetica del sistema edificio-impianti viene effettuato nel pieno rispetto della legislazione energetica nazionale e delle norme tecniche di supporto.
Il suo utilizzo è rivolto a utenti con specifica preparazione, in grado di gestire correttamente le fasi di reperimento e inserimento dati, sia in caso di opzioni predeterminate dal software sia di inserimento manuale.

Disponibile il download del manuale utenti

La nuova versione DOCET consente di generare ed esportare un file di interscambio necessario a trasferire gli APE ai sistemi informativi regionali, che a loro volta alimentano il SIAPE, il Sistema Informativo nazionale sugli Attestati di Prestazione Energetica, gestito da ENEA.
La nuova versione, riporta Italpress, è stata sviluppata in occasione del superamento della Procedura di Verifica di Sorveglianza Periodica prevista per gli strumenti di calcolo e software commerciali, ai fini del rilascio della dichiarazione da parte del Comitato Termotecnico italiano (CTI). Le verifiche effettuate rispondono ai requisiti minimi di legge previsti per la specifica categoria di interventi. Per maggiori informazioni su applicabilità, specifiche tecniche, metodologie di calcolo e compilazione del software, un manuale utente è disponibile in download insieme all’ultima versione del software.

In Italia 1 impresa su 4 è donna

In Italia, quasi una impresa su quattro (22,2%) è gestita da donne, il che rappresenta un esercito di oltre 1,3 milioni di aziende femminili che stanno portando innovazioni nell’economia del paese. Questi dati emergono da un’analisi della Coldiretti basata su dati Unioncamere, diffusa in occasione dell’Assemblea di Coldiretti Donne Impresa a Roma. La maggior parte delle imprese femminili opera nel settore del commercio, con 340.000 unità (pari al 25% del totale). Al secondo posto c’è l’agricoltura, con 203.000 donne imprenditrici (15% del totale), seguita dai servizi di alloggio e ristorazione, con 134.000 imprese (10% del totale). Questi dati confermano che il settore alimentare, in tutte le sue forme, è uno dei più popolari tra le imprese femminili.

Resiste il divario di genere

Nonostante i progressi, esiste ancora un significativo divario di genere, come evidenziato dall’ultimo censimento Istat. Tuttavia, la percentuale di aziende agricole condotte da donne è aumentata costantemente nel corso dei decenni, raggiungendo il 31,5% delle aziende agricole totali.

Il fascino di tornare alla campagna

Il fascino della campagna sembra essere in crescita tra le donne, che vedono l’agricoltura come un settore in grado di offrire opportunità occupazionali e di crescita professionale. La presenza delle donne in agricoltura sta rivoluzionando il lavoro nei campi, spaziando dall’allevamento alla coltivazione, dalla trasformazione dei prodotti alla vendita diretta. Inoltre, le attività sociali, come le fattorie didattiche e gli agriasili, stanno diventando un importante motore per l’inclusione nel mondo del lavoro delle donne meno fortunate, spesso vittime di violenze e abusi.

Il 25% delle imprenditrici agricole ha una laurea

Le imprenditrici agricole sono spesso giovani e altamente qualificate, con il 25% di loro laureate. Molte di loro provengono da percorsi di studio o esperienze in settori diversi prima di scegliere l’agricoltura. Oltre il 50% delle donne impegnate in agricoltura svolge più di una attività connessa alla produzione primaria, come la vendita diretta, l’agriturismo e la trasformazione dei prodotti.

Le donne più attente alla sostenibilità e al biologico

Molte di queste donne hanno scelto di dedicare parte della loro produzione all’agricoltura biologica o biodinamica e stanno lavorando per una filiera di qualità orientata alla sostenibilità, alla tutela della biodiversità, del paesaggio e del benessere animale. Le donne imprenditrici in agricoltura svolgono un ruolo fondamentale nel preservare e valorizzare le aree rurali, creando legami profondi con il territorio.

Cresce l’occupazione, e a settembre oltre 3 milioni in cerca di un altro impiego 

Tra il fenomeno delle dimissioni volontarie e un’accentuata mobilità interna al mercato del lavoro, saranno oltre 3 milioni gli occupati che da settembre 2023 cercheranno un nuovo impiego. Con l’occupazione in crescita aumenta quindi la voglia di cambiare lavoro. Spinti dalle nuove opportunità che offre il mercato, dalla concorrenzialità crescente delle imprese nel trattenere i giovani o reclutare le professionalità introvabili, ma anche desiderosi di un cambiamento che porti a una maggiore soddisfazione professionale o un migliore equilibrio vita-lavoro, i lavoratori italiani si muovono molto più di prima tra un’occupazione e l’altra. È quanto emerge dall’ultima indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro, dal titolo ‘Ritorno al lavoro: per 3 milioni parte la ricerca di una nuova occupazione’.

Più dimissionari per commercio, turismo e manifatturiero

Come negli anni passati, settembre, insieme a dicembre, è il mese in cui si concentra il maggior numero di dimissioni volontarie. Il 2022, in particolare, è stato l’anno record delle dimissioni: 1.255.000 lavoratori a tempo indeterminato hanno lasciato il proprio impiego (+9,7% rispetto al 2021, +24% rispetto al 2019). Con riferimento ai settori più interessati dal fenomeno, la ricerca evidenzia come su 100 dimissioni di lavoratori a tempo indeterminato la quota maggiore riguarda commercio e servizi turistici (33,8% del totale) e comparto manifatturiero (25%). In generale, i settori protagonisti dell’incremento più consistente sono quelli che hanno conosciuto una più alta crescita occupazionale, come costruzioni (+48,4%), servizi di informazione e comunicazione (+37,5%), sanità e istruzione (+35,8%).

La diffusa mobilità riguarda maggiormente i giovani

Secondo un’indagine realizzata a giugno scorso dalla Fondazione studi consulenti del lavoro, in collaborazione con l’Istituto Piepoli, il 6% dei lavoratori interpellati ha cambiato occupazione negli ultimi due anni. A questi si aggiunge un 13% che sta cercando attivamente un altro impiego. C’è poi un 26% che pur non avendo ancora agito concretamente desidera un cambiamento professionale.
La diffusa mobilità riguarda maggiormente i giovani, di cui il 13% ha cambiato lavoro, mentre il 15% è attivamente alla ricerca di una nuova occupazione. A spiegare il fenomeno, soprattutto la mancata soddisfazione per la situazione professionale precedente.

Si cerca soprattutto un miglioramento retributivo

Non a caso, per il 41% di chi ha cambiato lavoro negli ultimi due anni (o si accinge a farlo) la scelta è guidata soprattutto dallo scontento per l’attuale condizione. Seguono, ma molto distanziate, la necessità, derivante dalla scadenza di un contratto o un licenziamento (18%), e la voglia di un cambiamento di vita capace di favorire un ruolo diverso del lavoro nella propria esistenza (16%).
Il 12% fa poi riferimento al presentarsi di nuove opportunità, mentre solo il 6% alla paura di perdere l’attuale impiego. Ma cosa si cerca nel nuovo lavoro? Miglioramento retributivo (39%), che non significa meri aumenti salariali, ma anche diverse e migliori forme di welfare e benefits, migliore equilibrio lavoro-vita privata (30%), desiderio di riscoprire motivazioni e nuovi stimoli (21%), migliore clima aziendale (20%) e prospettive di crescita e carriera (20%).

Cybersecurity, sviluppo software e AI le skills più introvabili

Quali sono le skills più introvabili dalle imprese? Quelle relative alle aree della cybersecurity, dello sviluppo software e programmazione, e in misura leggermente inferiore, dal settore dell’Intelligenza artificiale: lo attesta la survey della startup TimeFlow. Solo per il 28% degli intervistati però tale skills gap è negativo, mentre il 72% ritiene che una scarsa concorrenza sia un fattore di mercato positivo, in quanto accresce la probabilità di ricevere un lavoro. E sono soprattutto le aziende di più piccole dimensioni e meno propense a fare investimenti in marketing a ritenere che il forte disallineamento tra domanda e offerta sia positivo. Diversamente, le imprese di maggiori dimensioni non sono intimorite dall’aumento della concorrenza, e non vedono criticità nella situazione attuale.

Le “qualità” valutate positivamente dai selezionatori 

Per chi necessita di trovare un Software Developer da affiancare al proprio team interno, le competenze più difficilmente trovabili sul mercato sono Python (60%), React JS (20%) e Jackrabbit (20%). Le difficoltà più sentite, non ricevere cv in linea con le competenze richieste, e il disallineamento di Ral tra quella offerta e quella richiesta dai Developer. Durante il processo di selezione, vengono valutate positivamente le soft skills di teamwork (33%), puntualità/organizzazione del tempo (22%), attenzione al dettaglio, comunicazione efficace, problem solving, rapidità di apprendimento (11%).

Le strategie per superare le criticità

In Italia è molto sentita la difficoltà nel trovare elevate competenze all’avanguardia, a causa dei rapidi avanzamenti tecnologici e della scarsità di offerta in determinati settori. A livello di strategie da adottare per superare tali criticità, il 33% ritiene si debba prevedere una maggiore standardizzazione, scalabilità e flessibilità dei sistemi e si debba investire nella formazione. Il 22% pensa che la strategia da adottare sia facilitare l’accesso a mercati esteri in cui sono disponibili competenze tecnologiche a prezzi più competitivi. L’11% vorrebbe automatizzare il più possibile il processo di selezione e ingaggio.

“Una sfida con cui molte aziende si confrontano”

“Attraverso la nostra indagine, scopriamo che la carenza di professionisti specializzati, in settori come la cybersecurity, lo sviluppo software e l’Intelligenza artificiale e non solo, è una sfida con cui molte aziende si confrontano. Tuttavia, vediamo in questa disparità un’opportunità di mercato, poiché spinge le imprese a cercare fornitori di competenze tecnologiche sul mercato nazionale e internazionale attraverso nuovi canali – afferma Lorenzo Danese, ceo di TimeFlow -. La nostra mission è creare un futuro in grado di colmare il divario tra domanda e offerta di competenze IT, superando le sfide del mismatch e portando innovazione migliorando contestualmente la qualità di vita dei professionisti del settore”.

Great Resignation: come si difendono le medie imprese italiane?

Secondo le stime di Unioncamere e del Centro studi Tagliacarne nel 2022 in Italia le dimissioni volontarie sono state pari a circa il 19,5% del totale delle interruzioni lavorative, ovvero 1,66 milioni su 8,5 milioni di cessazioni. Nel 2018 le interruzioni spontanee del rapporto di lavoro erano state solo circa il 14%. Quindi, come possono le medie imprese italiane difendersi dal fenomeno delle Grandi dimissioni, e impedire una massiccia fuoriuscita di personale dalle aziende? Soprattutto, attraverso gli aumenti di stipendio, ma anche tramite la concessione di benefit aziendali e la flessibilità dell’orario di lavoro.

Incremento del salario, benefit e flessibilità oraria

A quanto emerge dall’indagine condotta da Unioncamere e dal Centro studi Tagliacarne, svolta in collaborazione con l’Area Studi di Mediobanca e presentata recentemente a Milano, la modalità che più di frequente viene adottata dalle medie imprese italiane per trattenere il personale qualificato in azienda è appunto l’incremento salariale, dichiarato dal 50% del campione intervistato.
Seguono, a moderata distanza, il riconoscimento di benefit aziendali, dichiarato dal 29%, e la flessibilità degli orari di lavoro, dal 27%. Sono queste le leve principali che le medie imprese italiane, affamate di personale qualificato, utilizzano per far fronte alla Great Resignation, il fenomeno, sempre più diffuso, delle dimissioni volontarie del personale.

Smart working: uno strumento poco usato al fine di non perdere le risorse

A maggiore distanza le aziende segnalano, inoltre, di offrire una maggiore autonomia nelle mansioni (19%), il riconoscimento del lavoro svolto (18%), e incentivi per la formazione (14%).
Meno ‘appeal’, al fine di non perdere le risorse aziendali migliori, sembrano avere la concessione dello smart working (13%), quella di percorsi di carriera privilegiati (12%) o di percorsi di carriera accelerati (7%).
“Solo poco più del 10% delle medie imprese – commentano Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne – punta sullo smart working o sul coinvolgimento nelle decisioni aziendali per trattenere il capitale umano. E meno del 10% offre la possibilità di accedere a percorsi di carriera accelerati”.

Cosa chiedono i lavoratori? Non solo uno stipendio adeguato

“Dalle risposte delle aziende – aggiunge Andrea Prete, presidente di Unioncamere – si conferma che i lavoratori, in particolare quelli più giovani, chiedono non solo uno stipendio adeguato alle proprie capacità, che è pure un fattore molto importante, ma anche la possibilità di coltivare interessi, hobby e affetti familiari”. Ma il 16% delle aziende intervistate dichiara di non adottare alcuna pratica per trattenere il personale.

Milano, Monza Brianza e Lodi in crescita nonostante le incertezze

Il tessuto imprenditoriale di Milano Monza Brianza Lodi risponde positivamente al clima di instabilità: il saldo tra imprese iscritte e cessate nei territori si attesta a + 9.012, con un incremento del +1,9%. Complessivamente nel 2022 sono 468.890 le imprese registrate, di cui 389.733 attive, distribuite in 311.739 aziende nella provincia di Milano, 64.021 in quella di Monza Brianza e 13.973 in quella di Lodi. Rispetto al 2021 l’incremento è dell’1,6%, percentuale che assume ancora più valore se paragonata al dato lombardo (-0,2%) e nazionale (-0,7%).
Milano si conferma motore trainante (+1,8%), seguita da Monza Brianza (+1%). La provincia di Lodi si è mantenuta su un livello di assoluta parità rispetto al 2021. Emerge dal Rapporto annuale ‘Milano Produttiva’, realizzato dal Servizio Studi Statistica e Programmazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.

L’internazionalizzazione crea nuove opportunità

L’internazionalizzazione crea nuove opportunità alle aziende, con le esportazioni che reggono le pressioni e salgono a quasi 75 miliardi (+23,1%). I dati dei primi 3 mesi del 2023 indicano, tuttavia, un rallentamento rispetto all’ultimo trimestre 2022, primo segnale della frenata che si sta verificando nel commercio mondiale Nel 2022 prosegue poi il trend positivo delle importazioni (+20,4%) e delle esportazioni (+23,1%) nelle tre province. La performance migliore è quella del Lodigiano, che con una crescita del 39,6% dell’export e del 37,9% dell’import, in termini percentuali cresce di più rispetto a Milano (import +18,2%, export +22%) e Monza Brianza (import +24,6%, export +21,7%).
Milano, tuttavia, conferma il suo primato in Italia per il valore sia delle esportazioni (56 miliardi) sia delle importazioni (89 miliardi).

Settori e fatturati: incremento diffuso su tutti i territori 

Le indagini congiunturali dei settori per il 2022 indicano uno scenario di crescita diffusa su tutti i territori. Il settore manifatturiero ha registrato un incremento significativo della produzione industriale, in particolare a Milano (+6,8%) e Monza Brianza (+7,5%), mentre ha avuto un impatto più limitato a Lodi (+3,9%). Ripresa consistente anche per l’artigianato nelle province di Milano (+9,7%) e Monza Brianza (+7,1%), con effetti più ridotti nel Lodigiano (+1,9%). Il settore dei servizi ha evidenziato una crescita del fatturato principalmente a Milano (+15,9%) e in Monza Brianza (+16,2%), e in maniera più contenuta, nella provincia di Lodi (+7,8%).

Il trend dei settori economici nel 2023 e 2024

Inoltre, il commercio al dettaglio ha registrato un incremento di fatturato intenso nell’area metropolitana di Milano (+10,3%) e nella provincia di Monza Brianza (+8,4%), con risultati minori nel Lodigiano (+3,6%). Le previsioni per il 2023 stimano un aumento del valore aggiunto (+1,1%), guidato da servizi (+1,3%) e costruzioni (+2,4%), che bilanceranno il calo previsto per industria (-0,2%) e agricoltura (-1,9%). Nel 2024 le previsioni indicano un rallentamento della crescita del valore aggiunto dei tre territori (+0,8%), che si rifletterà anche sulle singole aree: la città metropolitana di Milano (+0,9%), la provincia di Lodi (+0,8%) e Monza Brianza (+0,3%).

PMI, quali i sono i principali pericoli informatici?

In occasione della Giornata Internazionale delle PMI, promossa dalle Nazioni Unite, Kaspersky ha presentato un report completo che evidenzia i crescenti pericoli che le piccole e medie imprese (PMI) devono affrontare nell’attuale panorama delle minacce informatiche. Poiché le PMI costituiscono ben il 90% di tutte le aziende a livello globale e contribuiscono al 50% del prodotto interno lordo mondiale, secondo i dati delle Nazioni Unite, è necessario rafforzare le misure di sicurezza informatica per proteggere questi poli economici. Il nuovo report di Kaspersky “Threats to SMB” ha evidenziato una realtà preoccupante: i criminali informatici continuano a colpire le PMI con una serie di tecniche sofisticate. Il numero dei dipendenti delle PMI che incontrano malware o software indesiderati, camuffati da applicazioni aziendali legittime, è rimasto relativamente stabile rispetto all’anno precedente (2.478 nel 2023 rispetto a 2.572 nel 2022) e i criminali informatici persistono nel tentativo di infiltrarsi in queste aziende.

Metodi di truffa sempre più “creativi”

I truffatori ricorrono a una grande varietà di metodi, tra cui l’exploit delle vulnerabilità, e-mail di phishing, messaggi di testo ingannevoli e persino link YouTube apparentemente innocui. L’obiettivo è sempre quello di accedere a dati sensibili. Questa tendenza preoccupante evidenzia il bisogno urgente di rafforzare le misure di sicurezza informatica per salvaguardare le PMI dalle cyber minacce costanti. Il report ha mostrato che nei primi cinque mesi del 2023 sono stati rilevati 764.015 file dannosi destinati alle PMI.

Exploit, phishing e scam i rischi maggiori

Gli exploit sono stati la minaccia più diffusa, con il 63% (483.980) di rilevamenti nei primi cinque mesi dell’anno. Questi programmi malevoli sfruttano le vulnerabilità dei software, permettendo ai criminali di eseguire i malware, aumentare i propri privilegi o distruggere applicazioni critiche senza alcuna azione da parte dell’utente.
Inoltre, le minacce di phishing e scam rappresentano un rischio significativo per le PMI: i criminali informatici inducono facilmente i dipendenti a divulgare informazioni riservate o a essere vittime di truffe finanziarie. Alcuni esempi di queste tecniche fraudolente sono le false pagine di servizi bancari, di spedizione e di credito, progettate per ingannare persone inconsapevoli.
Il report di Kaspersky pone l’attenzione anche su un metodo spesso utilizzato per infiltrarsi negli smartphone dei dipendenti, chiamato “smishing”, combinazione di SMS e phishing. Questa tecnica prevede che la vittima riceva un messaggio, contenente un link, distribuito attraverso diverse piattaforme, come SMS, WhatsApp, Facebook Messenger, WeChat e altre. Se l’utente clicca sul link inserito, il dispositivo si espone al caricamento di codici malevoli che possono comprometterne la sicurezza.

Come proteggersi dagli attacchi

I dati utilizzati nel report sono stati raccolti da gennaio a maggio 2023 tramite Kaspersky Security Network (KSN), un sistema protetto per l’elaborazione di dati anonimizzati relativi a minacce informatiche, condivisi volontariamente dagli utenti Kaspersky. Gli esperti Kaspersky hanno esaminato i software più utilizzati dalle PMI in tutto il mondo, tra cui MS Office, MS Teams, Skype e altri. Grazie all’analisi incrociata di questi software con la telemetria KSN, i ricercatori sono riusciti a determinare l’entità del malware e del software indesiderato, distribuiti sotto le sembianze di queste applicazioni.
Per proteggere la propria azienda dalle cyber minacce, Kaspersky consiglia di fornire ai dipendenti una formazione di base in materia di sicurezza informatica, simulare un attacco di phishing così da assicurarsi che siano in grado di distinguere le e-mail di phishing. Inoltre, è importante utilizzare soluzioni protettive per gli endpoint e per i server di posta elettronica con funzionalità anti-phishing, come Kaspersky Endpoint Security for Business o Cloud-Based Endpoint Security, per ridurre la possibilità di infezione attraverso le email di phishing. Altre misure di protezione includono l’adozione di policy per accedere agli asset aziendali, comprese le caselle e-mail, le cartelle condivise e i documenti online, e l’effettuazione di backup regolari dei dati più importanti.

GenZ e Millennial tra costo della vita e cambiamento climatico  

Anche i ragazzi e le ragazze sono preoccupati per l’impennata del costo della vita. La grande inflazione degli ultimi mesi spaventa anche i giovani, e per Millennial e GenZ di tutto il mondo è la preoccupazione numero uno. Inoltre, se flessibilità, salute mentale, attenzione all’impatto ambientale e sociale sono sempre più importanti per GenZ e Millennial alla ricerca di un lavoro, molti giovani mettono in discussione la gerarchia di valori che dà senso alla vita.
In Italia, famiglia e amici sono più importanti della carriera, e i giovani attribuiscono sempre più importanza al work-life balance e al lavoro ibrido. Lo rivela l’ultima edizione della Deloitte Global GenZ and Millennial Survey. condotta in 44 Paesi del mondo, e su oltre 800 giovani in Italia, 

Inflazione, ambiente e disoccupazione

Costo della vita, cambiamento climatico e disoccupazione sono i grandi temi che preoccupano GenZ e Millennial italiani. In particolare, il costo della vita è la preoccupazione numero uno per quasi la metà dei Millennial (46%) e il 38% dei GenZ, ma non meno rilevante rimane la questione climatica, che dovrebbe essere la priorità da affrontare secondo il 37% dei Millennial e il 34% dei GenZ.
Significative anche le percentuali di chi teme la disoccupazione (29% GenZ e 26% Millennial).
Oltre a questi tre grandi temi, gli intervistati ‘mettono sul piatto’ anche scarsità delle risorse, disuguaglianza e discriminazione, stagnazione economica e disuguaglianze sociali.

Comprare casa e mettere su famiglia? Un miraggio

In linea con la media globale, 50% dei GenZ e 47% dei Millennial teme di non riuscire ad arrivare a fine mese. In particolare, GenZ e Millennial italiani mostrano elevati livelli di preoccupazione per l’impatto della stagnazione economica, che incide sulla possibilità di creare una famiglia e acquistare una casa. Se l’economia non migliorerà nel prossimo anno, il 71% dei Millennial e il 63% dei GenZ italiani pensa che sarà molto difficile o impossibile metter su famiglia (47% e 50% media globale).
Più elevati della media globale anche i timori sulla casa: 71% dei GenZ e 73% dei Millennial pensa che sarà impossibile comprarne una nel prossimo anno se lo scenario economico non migliorerà.

La flessibilità come new normal

Per il 68% dei GenZ e il 71% dei Millennial amici e famiglia sono più importanti della carriera, che rimane comunque un elemento fondamentale di identità (49% GenZ, 62% Millennial).
Quanto alla modalità lavorativa ideale, la soluzione più desiderata (27% Millennial, 24% GenZ) è la possibilità di stabilire in autonomia se lavorare da remoto. Inoltre, se i GenZ risultano meno stressati e in ansia della media globale (44% vs 46%), i Millennial lo sono di più (42% vs 39%), e a pesare sullo stato di salute mentale sono soprattutto le preoccupazioni sul futuro economico. Ma nonostante in secondo piano rispetto all’inflazione, la preoccupazione per lo stato di salute del pianeta rimane una delle principali fonti di ansia per le giovani generazioni (63% GenZ, 64% Millennial).

Imprese: il prossimo futuro fra strategie competitive e sviluppo delle competenze

Dopo il Covid le aziende italiane hanno detto stop agli investimenti per lo smart working, meglio puntare su innovazione e prodotto. E se la formazione ora è rivolta a manager e dirigenti, e non ai neo assunti, per un’azienda su quattro il 2026 segnerà un cambio totale nell’operatività.
Sono alcune evidenze emerse dall’indagine annuale sui fabbisogni aziendali 2023 condotta da Fòrema, dal titolo ‘Strategie competitive e sviluppo delle competenze’. Nel sondaggio, che ha coinvolto centinaia di aziende principalmente dell’area del Padovano e del Vicentino, molte del settore metalmeccanico, è stato chiesto agli imprenditori di individuare il livello di priorità con cui l’organizzazione intende mobilitare il proprio capitale cognitivo. E più della metà del panel (53%) ritiene che investire nella formazione del proprio personale abbia una priorità medio alta o alta (20%).

Formazione: meglio valorizzare il manager

Formazione, quindi, ma in particolare per quanto riguarda il personale con ruoli di responsabilità, a cui un’impresa su quattro assegna priorità massima rispetto ai neo assunti, seguito dal personale operativo (21%). 
“Da quest’anno si registra anche la direzione generale e la proprietà dell’impresa come un target rilevante per l’implementazione delle strategie formative – commenta il direttore generale di Fòrema, Matteo Sinigaglia -. Nel 19% dei casi sono proprio queste figure imprenditoriali a evidenziare la priorità d’azione più alta”.

Più innovazione di prodotto, stop ai modelli organizzativi smart

Quanto alle aree e le funzioni aziendali che saranno maggiormente interessate da consulenze formative, gli interventi a supporto devono interessare gli uffici progettazione e sviluppo (22%), i processi produttivi (21%), l’area marketing e vendite (20%), la gestione dei sistemi informativi (19%).
Le aziende segnalano poi come particolarmente rilevanti per l’anno in corso innovazione del prodotto e dei processi (22%), digitalizzazione (21%), controllo di gestione (18%) e sviluppo dei collaboratori (16%). Escono dall’analisi i temi delle soft skills e dei modelli organizzativi smart, l’impatto ambientale della produzione, la sostenibilità sociale. E un’analisi pluriennale sulle priorità evidenzia una crescita per la digitalizzazione dei processi e delle attività.

Nel 2026 un’azienda su quattro sarà diversa

Per le aspettative di medio periodo fino al 2026, legate alla trasformazione della propria organizzazione, prevale la consapevolezza che nel prossimo triennio le attività aziendali, e di conseguenza l’organizzazione, saranno cambiate rispetto alla situazione attuale. Solo il 35% non prevede cambiamenti sostanziali. Anche se è sempre difficile fare previsioni, nel complesso il 58% converge verso uno scenario caratterizzato dall’aumento delle funzioni e delle attività aziendali, il 24% si aspetta un cambiamento radicale dell’azienda (era il 17% nel 2022) e il 30% ritiene che la struttura organizzativa sarà focalizzata su poche attività a valore.

Lavoro e sostenibilità: per un italiano su due è un binomio importante 

Oggi un italiano su due mette in pratica comportamenti responsabili e sostenibili anche nella propria attività lavorativa. Se nella vita privata si è sempre più attenti ai consumi, al corretto riciclo dei rifiuti, all’acquisto di prodotti green, sembra che ora ci si comporti in maniera responsabile anche nella sfera professionale. È quanto emerge dal report Deloitte dal titolo Il cittadino consapevole: comportamenti virtuosi in azienda per raggiungere un successo sostenibile. Di fatto, la sostenibilità sul lavoro diventa una priorità per un numero crescente di persone, una tendenza positiva che contribuisce a diffondere un approccio più sostenibile sul luogo di lavoro, influenzando, in ultima analisi, il modo di agire dell’azienda nel suo complesso.

I dipendenti confermano la svolta green delle aziende 

Stando ai risultati del report, un lavoratore su tre afferma che il proprio datore di lavoro ha avviato un processo di transizione sostenibile attraverso la definizione di un pattern di sostenibilità, con obiettivi chiari e integrato nella strategia complessiva dell’azienda. In particolare, un dipendente su due dichiara che la svolta green dell’azienda dove lavora sta procedendo tramite scelte di economia circolare in ottica di riduzione degli sprechi e di un maggiore utilizzo di materiali riciclabili nei processi produttivi. E per un lavoratore su cinque il proprio datore di lavoro sta puntando maggiormente sulle energie rinnovabili.

Non solo ambiente: la responsabilità deve essere anche sociale

Oltre all’aspetto della salvaguardia dell’ambiente, gli italiani richiedono alle aziende dove lavorano, o a quelle in cui vorrebbero lavorare, di adottare modelli di sostenibilità sociale e umana. In questo senso, emerge tra gli italiani un interesse verso l’adozione da parte della propria azienda di modelli di lavoro più flessibili ispirati al corretto bilanciamento tra lavoro e vita privata, la promozione di azioni mirate in favore dell’inclusione sociale e della riduzione delle disparità di genere.

Se l’impresa è sostenibile i lavoratori sono più impegnati e coinvolti

In sintesi, un impegno concreto sui temi della sostenibilità da parte di un’impresa crea un effetto a cascata sulle persone, che per due terzi del campione interpellato si dimostra in un maggiore impegno sul lavoro, e per quattro italiani su dieci, in un più elevato coinvolgimento in ambito lavorativo. E pur di lavorare per un’azienda sostenibile, il 25% degli intervistati si dichiara disposto addirittura a una riduzione di stipendio. Ma come si stanno comportando le aziende? Un italiano su tre si dichiara soddisfatto di quanto la propria azienda sta facendo in ambito di sostenibilità, riferisce Adnkronos. La stessa percentuale afferma che il proprio datore di lavoro ha reso disponibili risorse per incentivare l’adozione di best practice sul luogo di lavoro senza secondi fini. Ma un italiano su tre pensa che l’azienda stia attuando forme di greenwashing.